La cultura della famiglia in Cina

Nella cultura tradizionale cinese prevale una visione “telescopica” della famiglia intesa come lignaggio che inanella un’ininterrotta successione di generazioni, quindi risulta prevalente l’enfasi sull’asse verticale delle relazioni, tra figli e genitori, piuttosto che su quello orizzontale (la coppia).

Intervista a Daniele Brigadoi Cologna – ricercatore e docente di Lingua Cinese – Università degli Studi dell’Insubria (Como)

FMV: Concezione e cultura della famiglia in Cina. Quali sono gli aspetti principali da considerare e quali i valori più diffusi?

Nella cultura tradizionale cinese prevale una visione “telescopica” della famiglia intesa come lignaggio che inanella un’ininterrotta successione di generazioni, quindi risulta prevalente l’enfasi sull’asse verticale delle relazioni, tra figli e genitori, piuttosto che su quello orizzontale (la coppia). Dato che il culto degli antenati è la prima radice del sacro nel mondo cinese, ed è alla base di ogni sentire religioso, il principio del lignaggio – che è patrilineare e si trasmette di padre in figlio primogenito – informa tuttora i valori famigliari fondamentali tanto nelle aree rurali quanto nelle classi medie urbane. Aspetti come la cosiddetta pietà filiale (xiao), che alimenta il rispetto e la deferenza per i genitori e in generale per gli anziani, l’importanza attribuita al matrimonio dei figli entro i 26-30 anni, la procreazione in tempi rapidi, l’obbligo per il figlio primogenito di farsi carico, assieme alla moglie, dei propri genitori anziani, che spesso sono conviventi o comunque raramente alloggiano lontano dal figlio. Il presupposto fondamentale della famiglia cinese è dunque il suo ruolo di garante della solidarietà intergenerazionale, cui di norma si subordina la relazione di coppia. Il fatto che molti matrimoni siano tuttora “pilotati” dai genitori è espressione di questa radicata percezione della famiglia come unità corporativa di autopromozione, di cura e di tutela dal rischio sociale dei suoi aderenti. Questo spiega anche perché siano vissute con grandi difficoltà le unioni omosessuali, la scelta di molti giovani di posticipare il matrimonio (o di non sposarsi proprio), la scelta di non avere figli, ecc. Quest’ultima è vista da sempre come vera e propria blasfemia in Cina.

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FMV: Come vengono visti i “padri” e le “madri” nella concezione della famiglia cinese? Qual è il modo di intendere la relazione uomo-donna?

La tradizionale distinzione tra genitori paterni e materni si è andata affievolendo nel tempo man mano che la cosiddetta politica di pianificazione delle nascite, introdotta alla fine degli anni Settanta, ha notevolmente ristretto l’estensione della famiglia. Se un tempo le nuore erano costrette a lasciare per sempre la propria famiglia per assumere quella del marito – e i relativi antenati – come proprio lignaggio di riferimento, cui sottomettersi in toto, oggi le donne cinesi – come avviene tuttora in molte società contemporanee – risultano essere le principali caregiver famigliari per entrambi i rami della propria famiglia, tanto quello del marito quanto il proprio. È proprio la dipendenza dei genitori anziani dalle figlie e dalle nuore ad aver in un certo senso contribuito a modificare gradualmente anche il potere che le donne possiedono all’interno del nucleo domestico, soprattutto se sono donne lavoratrici. Padre e madre sono considerati i custodi della trasmissione del lignaggio, entrambi sono oggi primariamente tesi a garantire la migliore educazione e protezione sociale possibile ai propri figli, mentre nel contempo cercano di assicurare cura e una vecchiaia serena ai propri genitori. Il loro ruolo di “generazione sandwich” li espone a forti stress. I diversi ruoli di genere attribuiti all’interno della coppia dalla cultura tradizionale sono andati molto confondendosi negli ultimi decenni, tanto nelle città quanto nelle aree rurali. In queste ultime, infatti, ha avuto un enorme peso l’emigrazione dei giovani – sia maschi che femmine – nelle città della costa per cercare lavoro, alterando profondamente gli schemi tradizionali. Il più forte ruolo femminile di cui si è detto poc’anzi deriva soprattutto dalla spinta emancipatoria, ma anche dalla maggiore ricattabilità emotiva, cui sono soggette le donne. La relazione uomo-donna – e più in generale la relazione di coppia – è stata a lungo considerata meno importante in seno alla famiglia di quella tra genitori e figli. L’enfasi è tradizionalmente sulla necessità di “combinare bene” i due partiti, verificando che i rispettivi oroscopi e curricula lavorativi e professionali si accordino al meglio, scongiurando possibilmente matrimoni al di fuori della propria cerchia o classe sociale, o della propria area geografica di appartenenza. Nelle aree rurali della Cina costiera meridionale è ancora molto importante sposare membri di lignaggi tradizionalmente “alleati” al proprio. Il presupposto di queste unioni pianificate a tavolino è che il matrimonio sia essenzialmente un affare di famiglia e che i sentimenti amorosi nascano dal condividere un progetto di vita e riproduttivo. Ovviamente, queste aspettative si infrangono spesso contro le asperità della relazione interpersonale e le pressioni interne a famiglie sempre più piccole possono essere fonte di notevole stress.

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FMV: Qual è il ruolo dei figli in famiglia? Quali sono gli aspetti principali che definiscono la relazione genitori-figli?

Tradizionalmente i genitori chiedono ai figli assoluta deferenza e completo rispetto, che generalmente riescono a ottenere senza ricorrere necessariamente a un’educazione autoritaria, ma piuttosto con una ferma determinazione a ottenere che i figli diano sempre il meglio di sé. Il coinvolgimento dei genitori nella vita dei figli, in particolare in quella scolastica, è assai maggiore che in Occidente. In particolare, le madri sono “arruolate” full time dagli insegnanti come sostegno del lavoro di preparazione scolastica dei figli, che è molto oneroso: i bambini studiano moltissimo fin dall’asilo, passando anche tre o quattro ore al giorno a fare compiti già alle elementari. La pressione al successo scolastico è fortissima, perché dalla valutazione operata lungo tutto il corso educativo dipende la possibilità di superare con successo l’esame di ammissione all’università (gaokao) e dunque anche un eventuale successo professionale e un collocamento ottimale sul mercato matrimoniale. Oltre alla cura della carriera scolastica, i genitori si dedicano assiduamente anche a fornire ai propri figli tutto il necessario a trovare un coniuge una volta raggiunti i 23-24 anni. Nel caso di un figlio maschio, questo significa mettere da parte i soldi necessari ad acquistare una casa (un appartamento) e un’automobile, presupposti materiali indispensabili per risultare partiti appetibili in un mercato matrimoniale in cui le donne sono molte meno degli uomini. Nel caso di una figlia, si investe fortemente nella sua educazione e nella cura della sua salute e del suo aspetto fisico. Oggigiorno l’onere della cura degli anziani genitori ricade sempre più in egual misura sia sui figli che sulle figlie, perché la politica di pianificazione famigliare ha ridotto la possibilità per le famiglie di poter contare su un figlio maschio primogenito cui imporre un modello matrimoniale patrilocale.

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FMV: Esistono politiche a sostegno della famiglia in Cina? E se sì quali?

A parte la regolamentazione della licenza di maternità, in Cina si offrono ben pochi sostegni alle famiglie. Esistono assegni famigliari per i più indigenti, ma sono di scarsa entità e la loro attribuzione da parte dei servizi sociali è spesso assai discrezionale. La maggior parte dei sostegni alle famiglie – per esempio doposcuola o tempo pieno all’asilo e alle scuole primarie – sono a pagamento e in generale anche l’educazione dei figli è estremamente onerosa per le famiglie. Il sistema sanitario in Cina è a pagamento, coperto solo parzialmente dalle assicurazioni sanitarie di cui godono i genitori, e sempre a seconda del settore di inserimento (pubblico o privato). Nelle aree rurali i sostegni alla famiglia sono pressoché inesistenti, il grave problema dei cosiddetti left behind children dei giovani genitori emigrati per lavorare nelle aree manifatturiere della costa è tuttora affrontato solo con le risorse di cura degli anziani e da poche associazioni del privato sociale cinese o internazionale.

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FMV: Ci sono differenze del modo di vivere le tradizioni famigliari in base ai contesti in cui si vive?

Fatte salve le premesse generali di cui sopra, sì: la Cina è un paese immenso, in cui vivono 56 diversi gruppi etnici ufficialmente riconosciuti, ciascuno con specifiche tradizioni famigliari. Tra gli stessi cinesi Han, le tradizioni famigliari possono variare sensibilmente a seconda della regione. L’istituzione del lignaggio, per esempio, è particolarmente forte e vitale nelle aree meridionali costiere, assai meno nella Cina settentrionale. Variabili legate alla zona di residenza (rurale o urbana), alla classe sociale, al livello d’istruzione, all’essere o meno impiegati in imprese statali, all’essere o meno membri del partito, ecc. giocano un ruolo rilevante anche in questo ambito.

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FMV: Quali sono, secondo lei, le principali sfide culturali che i cinesi che arrivano in Italia sono costretti ad affrontare?

La barriera linguistica, innanzitutto, che permane tale per la stragrande maggioranza degli immigrati di prima generazione fino alla fine dei loro giorni. E la condizione di migranti, che condiziona pesantemente le proprie scelte in materia di lavoro, matrimonio, educazione dei figli, perché il modello di inserimento socioeconomico prevalente dipende in modo cruciale dal mantenimento di ampie e solide reti di relazioni di reciprocità, capaci di generare capitale sociale. Il lavoro relazionale necessario a mantenere vive e attive queste reti assorbe gran parte della socialità e del reddito degli immigrati di prima generazione e impatta anche sulle scelte di vita della seconda generazione. Questo genera uno scostamento significativo dalle prassi di vita dei propri coetanei in Italia, che è avvertito come particolarmente segnante da parte della seconda generazione, precocemente socializzata al lavoro e alle infinite piccole umiliazioni che la burocrazia legata alla regolarizzazione del soggiorno riserva loro lungo tutto il corso di vita, almeno finché non si pervenga a una procedura di naturalizzazione o quantomeno a un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. In generale, la scarsa capacità della società italiane di metabolizzare la vita dei propri immigrati come parte integrante del corpo sociale rappresenta una costante fonte di malintesi e di attriti, che logorano ogni tentativo di “integrazione” che vada al di là di un accomodamento reciproco assai superficiale. Questo schema è generalmente rotto – con non pochi traumi, ma anche con l’aiuto di compagni, colleghi, amici, amanti, coniugi e parenti acquisiti italiani – dall’esperienza di vita della seconda generazione.

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FMV: Da tanti anni si occupa di cultura cinese: cosa la colpisce di più man mano che aumenta questa conoscenza?

Mi colpisce soprattutto quanto tempo, quanta pazienza, quanta attenzione e quanta umiltà richieda lo sforzo di comprendere una lingua e una cultura diversa da quella appresa da bambini. E quanto facilmente chi nulla sa né vuol saperne di altre culture dimentichi la complessità richiesta da qualunque percorso di acculturazione, pretendendo adattamenti e integrazioni che esistono solo nella loro mente gretta e povera d’incontri.

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FMV: Qualcosa che l’Italia potrebbe imparare dalla cultura cinese in tema di famiglia e qualcosa che la Cina può imparare vivendo la cultura della nostra penisola.

Direi che entrambi abbiamo molto da imparare rispetto all’amore, alla sua dignità profonda, all’importanza che andrebbe riservata prima che all’educazione scolastica, a quella dei sentimenti. In questo senso forse i nostri migliori maestri sono i giovani liberi, di ogni età e d’ogni latitudine, i peggiori maestri invece gli adulti che cercano di imbrigliarli a tutti costi in schemi di mutuo soccorso e in preordinate asimmetrie di potere. Idee di famiglia incentrate pressoché esclusivamente su di un’accezione patrimoniale e di autodifesa clanica possono rivelarsi organismi tenaci, ma anche terribili prigioni dell’anima.

Dai genitori cinesi, quelli italiani possono forse imparare la giusta misura tra fermezza e gentilezza d’animo; viceversa, da quelli italiani, i genitori cinesi possono forse imparare la dolcezza delle domeniche passate a giocare con i propri figli in un prato o al mare, il valore del gioco per il gioco, il dono fertile del sogno ad occhi aperti.

Temo però che le ossessioni della contemporaneità ci divorino entrambi, quindi occorrerebbe forse collaborare soprattutto per rendere possibile un incontro e una disponibilità all’apprendimento reciproco.