Per ogni uomo le ancore sono nel cielo

La metafisica come fondamento di ogni esperienza

Recensione a Rémi Brague, Ancore nel cielo. L’infrastruttura metafisica, Vita e Pensiero, Milano, 2012, pp. 100, ISBN 9788834321201, € 13,00.

L’autore, membro dell’Institut de France, professore emerito di Filosofia medievale e araba presso l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne, vincitore nel 2012 del premio Ratzinger, conosciuto a livello internazionale per i suoi numerosi saggi, in Italia è soprattutto noto per il volume Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa (1998). Tra le altre sue opere tradotte in italiano, ricordiamo La saggezza del mondo. Storia dell’esperienza umana dell’universo (2005) e Il Dio dei cristiani: l’unico Dio? (2009).

Il testo, frutto di una lunga meditazione elaborata nel corso degli anni, presenta in forma omogenea una raccolta di conferenze tenute a Barcellona nel marzo 2009. Sin dalla Prefazione (p. 7) si percepisce l’ansia dell’Autore nel preconizzare il ritorno alla metafisica come via per contrastare l’odierno anti-umanesimo. Rémi Brague, avvertendo il lettore che la sua breve ricognizione del percorso storico della metafisica – così come presentata nei primi due capitoli (pp. 9-25) – potrebbe risultare «troppo tecnica per il non-filosofo e ridicolmente sommaria per il filosofo» (p. 7), pone subito in evidenza che i capitoli contenenti il suo messaggio sono gli ultimi otto, nei quali illustra quanto la metafisica rappresenti l’unica vera possibilità per l’uomo d’interrogarsi sul fondamento di ogni sua esperienza.

Partendo dalla convinzione che troppo spesso si contrappone la metafisica – tacciata di perdersi nei «nei suoi nebulosi edifici» (p. 69) – alla vita vera, l’Autore dichiara la propria certezza che quando si affronta realmente «della verità della vita e della morte è difficile non fare metafisica» (p. 69). L’immagine schopenhaueriana dell’uomo come “animale metafisico” perde di centralità, non risultando più sufficiente. Per Rémi Brague, non basta affermare che l’uomo è un animale che fa metafisica, piuttosto che egli esiste in modo metafisico. Si introducono così i temi della procreazione e della nascita, che rivestono un ruolo centrale nella speculazione di Rémi Brague. Riflettendo sugli scritti di Hanna Arendt, infatti, ricorda al lettore che la «nascita è in quanto tale divina. Tutti lodano la creatività dell’uomo, e giustamente. Ma è la natalità il suo fondamento. Essa è la condizione prima dell’azione umana. Certo, gli uomini devono e possono agire, ma ciò accade perché cominciano col nascere. Possono fare qualcosa di nuovo perché sono qualcosa di nuovo» (p. 71).

Attraverso la metafisica, l’Autore riflette non soltanto sulle cause dei problemi che oggi attanagliano il mondo, ma anche e soprattutto sulle loro ragioni: «Ma la questione delle ‘cause’ (supponendo che il termine sia accettato dagli esperti) non mi interessa qui, se non altro perché non sono competente in merito, e dunque non prendo alcuna posizione. In particolare, non pretendo che il calo demografico dei Paesi avanzati sia dovuto a cause ‘metafisiche’, ad esempio la perdita della fede religiosa. Se mi si concede una distinzione, d’altronde estremamente elementare, qui non mi interesso alle cause, ma alle ragioni. Più precisamente, non alle cause passate della situazione presente, ma alle ragioni che dobbiamo avere oggi per determinare che cosa sarà il futuro» (p. 76). Il pensiero di Rémi Brague manifesta le medesime preoccupazioni che Giovanni Paolo II illustrò nell’Enciclica Evangelium Vitae, scritta per esprimere la posizione della Chiesa cattolica sul valore e l’inviolabilità della vita umana, testo che l’Autore conosce perfettamente e cita in nota (p. 84, n. 10), probabilmente proprio per indicare l’importanza che riveste nella definizione del suo pensiero.

Bel lontano dal pessimismo radicale di Emil Cioran (p. 86), e sempre sulla scorta del magistero di Giovanni Paolo II, Rémi Brague antepone a tutti i problemi dell’umanità, il tema della «vita» (p. 87), della «specie umana» (p. 87) e della «vita personale» (p. 87) contro una cultura del «caso» (p. 87), perché non «siamo liberi di essere venuti al mondo; in cambio, siamo del tutto liberi di chiamarvi qualcun altro» (pp. 87-88). Si apre così l’immagine di una genitorialità che, secondo l’Autore, affonda le proprie radici sull’urgenza di una riflessione metafisica, e che s’impone con forza proprio quando si entra nel vivo di questioni certamente urgenti quali la scelta tra il bene e l’utile, la procreazione, l’opportunità di controllare le nascite e l’eventualità della fine della vita umana sulla terra. In particolare, «la necessità di giustificare l’esistenza stessa dell’uomo obbliga a riconsiderare gran parte degli orientamenti di base del pensiero moderno. Non si tratta di rinunciare ad acquisizioni preziose e conquistate a caro prezzo, e ancor meno di tornare a un passato sognato. Al contrario, si tratta di permettere a chi è soggetto e oggetto di questi benefici, cioè l’uomo, di proseguire la sua avventura. Più esattamente, di volerla continuare» (p. 99). Si potrà assicurare il bene degli uomini, ma senza la metafisica non si potrà comprendere se il fatto che vi siano uomini a godere del bene sia per sé un bene. Si rigetta l’idea di una metafisica in disuso, riportandola ad essere la radice stessa delle nostre scelte concrete: non una sovrastruttura superflua, ma «l’infrastruttura indispensabile alla continuazione della vita degli uomini» (p. 100).

Rémi Brague, nel chiudere il suo scritto, ricorda che in «un dialogo di Platone un personaggio dice che l’uomo è come un albero capovolto le cui radici stanno in alto. Forse come lontana eco di quest’immagine di Platone, più di due millenni dopo di lui, Antoine de Rivarol ha scritto: «Ogni Stato […] è un vascello misterioso le cui ancore sono in cielo». Poco importa il contesto, in questo caso una difesa degli antichi regimi e del principio religioso della loro legittimazione. Oltrepassiamo il limite dell’ambito politico. E arrischiamo: per ogni uomo, le ancore sono nel cielo. È in alto che bisogna cercare quello che ci salva dal naufragio» (p. 100). Dalla prima all’ultima pagina del testo traspare l’ansia dell’Autore di ristabilire il contatto con la grande tradizione metafisica, da Platone a San Tommaso d’Aquino, per la quale l’esistenza è già per se stessa un bene. Non a caso, il titolo dell’ultimo paragrafo del volume contiene la vera alternativa per l’uomo: «La fede o la morte» (p. 97).

 

Vincenzo Fasano

avvocato della Rota Romana