Le Benefit Corporation sono Organizzazioni nelle quali i valori sociali e ambientali sono tenuti in considerazione parimenti al valore economico e che, coerentemente con tale principio, operano per generare un cambiamento di mentalità che favorisca lo sviluppo di un nuovo paradigma economico.
B-Corp e sostenibilità, impatti su famiglia e lavoro
Le B CORP® sono certificate a livello Internazionale e devono operare bilanciando scopo aziendale e profitto, considerando anche l’impatto generato su dipendenti, clienti, fornitori, comunità e ambiente. L’attività di impresa è, pertanto, utilizzata come una leva per fare anche del bene. La certificazione B CORP è volontaria e, fino al termine del processo di certificazione, gratuita. La forma giuridica di Società Benefit, invece, è l’adeguamento normativo che un Paese, come ad esempio l’Italia, propone – e in alcuni casi utilizza come vincolo di adozione entro un determinato periodo dal momento in cui le imprese ottengono la certificazione B (24 mesi in Italia) – per stimolare tale approccio culturale e socio-economico al cambiamento in azienda.
Sul tema c’è ancora poca conoscenza: nel 2016 pochi erano coscienti delle opportunità e prospettive che si stavano prospettando all’orizzonte ed, eccetto che negli Stati Uniti, anche in Italia si guardava con sospetto all’adozione di modelli di Corporate Social Responsibility spesso troppo poco strutturati. Si parlava sempre di profitto, senza comprendere appieno il “vero valore” della tematica sociale e dei criteri ESG. Oggi, dopo solo pochi anni, esistono oltre 4.000 imprese certificate B Corp® nel mondo ed è importante sottolineare che oltre 100.000 hanno utilizzato il B Impact Assessment (modello di autovalutazione messo a disposizione del B Lab) per auto-valutarsi rispetto ai competitor di settore: come dire che la certificazione è importante, ma ancor di più lo è aver fatto il percorso di valutazione interna.
Ad esempio, in Italia una importante azienda del settore della ristorazione, con diverse centinaia di milioni di euro di fatturato e molte migliaia di dipendenti, ha quasi terminato il percorso di valutazione (assessment) ma non necessariamente chiederà la certificazione al B Lab, che la eroga. Il processo è servito perlopiù a far emergere una serie di azioni sociali e attenzioni verso l’ambiente e la collettività che normalmente l’azienda già pone in essere, ma che finora non erano stati rendicontati in modo ordinato e coerente agli stakeholder. Inoltre, il percorso è servito anche a rafforzare la cultura aziendale in termini di sostenibilità, a essere più coscienti nell’operare secondo standard ESG e a beneficiare di possibili vantaggi che ne derivano a livello di marketing.
La bontà del modello è, pertanto, quella di aiutare gli “imprenditori socialmente orientati” a estrapolare il “valore dei valori” della propria impresa, oltre a quello economico. Negli Stati Uniti lo standard B nasce per motivi di rating – per distinguere, cioè, chi faceva “bene e meglio di altri” il proprio operato in coerenza con la propria missione (mission) aziendale – e poter, quindi, indirizzare gli investitori verso le Benefit Corporation, ma si è subito compreso che, oltre all’interesse economico, tale approccio avrebbe potuto dar vita a un vero e proprio cambio di paradigma economico, generando un movimento di imprenditori socialmente orientati in costante crescita.
In Italia, la Scuola di Economia Civile afferma che “l’Economia o è civile o non è economia” e che la sostenibilità è sempre più un tema antropologico, oltre che ambientale, sociale ed economico: al centro deve tornare a essere posta la persona, come soggetto proattivo di una collettività nella quale opera, consuma, crea valore e genera impatto. Siamo abituati spesso a pensare alla valutazione come all’arrivo in azienda di auditor che piombano sull’impresa per giudicarla ma, in realtà, la valutazione di impatto dovrebbe essere vista, invece, come uno strumento che sproni al cambiamento positivo e al miglioramento, a porre cioè in luce le proprie peculiarità, oltre ai difetti da correggere, per migliorarne anche la sostenibilità economica. Non dobbiamo dimenticare che il vocabolo auditor ha origine dal latino, il cui significato è chiaro: chi ascolta ed è poi in grado di fornire raccomandazioni, in questo caso per migliorare l’impatto generato, ovvero la somma dei benefici che vengono generati per la collettività. Ciascun individuo è parte attiva di una società e cerca di massimizzare il proprio beneficio, ma la somma di tutti i benefici prodotti, anche da struttura organizzate come le imprese, può essere definito, in modo poco accademico, l’“impatto totale generato da una collettività”.
Anche la Commissione Europea cerca di proporre alle aziende – che sono i veri motori della nostra economia, contribuendo fortemente alla generazione di PIL – una Agenda sociale che sia attenta alle persone, ovvero una serie di strumenti che vanno dal coinvolgimento di cooperative sociali che assumono manodopera svantaggiata in altri contesti, al finanziamento di progetti di startup che riciclano rifiuti nei Paesi in Via di Trasformazione, al sostegno a Enti non profit che misurino e abbattano le emissioni di CO2 e investano sull’economia circolare, solo per citare alcuni esempi. L’intento è quello di sostenere imprenditori socialmente orientati che possiedano una “visione aziendale” quasi profetica: occorre sempre avere una visione – nel senso di “vision” – nel cassetto, ma tale sogno deve essere sostenuto da strumenti pratici ed è soprattutto attraverso l’educazione e la formazione delle nuove generazioni che vengono fornite chance concrete per trasformare i sogni in qualcosa di reale a beneficio dell’intera comunità.
Altri punti discussi
Sono numerose le certificazioni che una azienda può ottenere in ambito sociale. Ad esempio, oltre a quelle normalmente riconosciute come le ISO, sul tema della responsabilità sociale esiste anche la SA 8000, standard di riferimento riconosciuto internazionalmente, creato con lo scopo di garantire migliori condizioni di lavoro. Lo standard certifica l’impegno e la responsabilità dell’impresa allo sviluppo sostenibile, con particolare attenzione ai problemi sociali.
Un tale Sistema di gestione certificato è uno strumento efficace che permette alle Organizzazioni in cui è stato adottato di gestire correttamente e monitorare le attività e i processi che producono impatto su problemi relativi alle condizioni dei lavoratori (diritti umani, sviluppo, miglioramento, formazione e crescita personale, non-discriminazione, lavoro di minori e giovani) e i requisiti sono estesi anche a fornitori e sub-fornitori.
In ogni caso, non ci si deve fossilizzare su un modello di certificazione (sia esso ISO, SA o B Corp), ma sul cambiamento che può essere generato: più si diffonde la cultura che ciò è possibile, più il cambiamento può divenire sistemico e più velocemente si potranno vedere i frutti dell’impegno di tanti che si prodigano ogni giorno per migliorare gli ecosistemi sociali all’interno dei quali operano.
Nel 1972, Bill Drayton utilizzò per la prima volta il termine “imprenditore sociale” per definire colui che favorisce il cambiamento connesso all’innovazione sociale, favorendo una generazione di changemakers dal motto “everyone a changemaker”. In Italia, tale motto è stato indegnamente modificato dall’autore in “everyone a changemaker, together” a dimostrazione del diverso approccio culturale del Vecchio Continente e del fatto che ciascuno di noi può essere promotore del cambiamento, ma anche che per realizzarlo davvero dobbiamo provarci tutti insieme!
Paolo Rossi
Valutazione d’impatto, Benefit corporation Promos Srl SB
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