Famiglia e welfare. Esperienze e implicazioni della pandemia

Alla tavola rotonda hanno partecipato: Stefano Malferrari (moderatore), Maria Novella Bugetti, Luciano Malfer, Piercarlo Gera, Riccardo Sebastiano Piaggi.

Il rapporto famiglia/welfare aziendale è nato come esclusivamente economico e si sta sviluppando come relazionale. La domanda da cui parte è la seguente: in che modo il supporto alla famiglia è un valore strategico per l’impresa e per tutti gli stakeholder?

Parlare di famiglia come chiave del processo produttivo ridefinisce questa relazione in termini di dualità. È la sfida della Corporate Family Responsibility (CFR), che deve diventare sostenibile anche per il management nel suo significato “relazionale”: non solo come risposta a politiche di conciliazione famiglia-lavoro, ma come sostegno alla relazione del dipendente in quanto tale, in quanto relazione, appunto. Questo è possibile se si guarda alla famiglia come portatore di interesse dell’azienda, pensando questo rapporto come endogeno, e se si considera il dipendente non come singola unità produttiva, ma come persona al centro di iniziative di welfare aziendale che risultino produttive delle sue relazioni.

Il Covid-19 ha accelerato questi processi dal punto di vista istituzionale e governativo, ma soprattutto dal punto di vista aziendale. Ne abbiamo discusso in Famiglia e welfare. Esperienze e implicazioni della pandemia, un panel che ha analizzato il tema dal punto di vista multidisciplinare. Si è parlato di impresa sociale, di best practices aziendali e territoriali e di regolamentazione.

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Il concetto di impresa sociale[1] si sta affermando con forza negli ultimi anni a seguito della sempre più diffusa convinzione che le aziende non possono continuare a sviluppare solo profitti e capitalizzazione di borsa: la popolazione mondiale è raddoppiata negli ultimi cinquant’anni, le disuguaglianze stanno aumentando, è fondamentale creare un contesto economico e sociale maggiormente inclusivo, non soltanto per un aspetto valoriale ed etico, ma anche per poter creare una base di consumatori effettivamente con capacità di spesa. I leader mondiali riuniti a Davos hanno convenuto sull’importanza di lavorare all’affermazione della stakeholder (vs shareholder) economy e quindi all’affermazione dell’impresa sociale. Un’impresa che offra prodotti/servizi per il pubblico in generale e a condizioni particolari per le fasce di clientela con disagi, che contribuisca allo sviluppo del tessuto economico e sociale in cui opera, anche con iniziative di professionalizzazione, riguardo alla propria gestione interna. I temi di fondo sono relativi all’agenda di inclusion/diversity management e al sostegno al dipendente nella sua relazione con la propria famiglia. Tale visione è stata con forza sviluppata da Yunus, creando forte movimento coi CEO di Danone, Ferrero, Exilor, etc. Riguardo alla gestione interna, possiamo dire che i progressi in materia di inclusion e diversity management sono ormai diffusi (anche se occorre lavorare ancora molto). Molte aziende si stanno applicando seriamente ad introdurli nella cultura e nell’organizzazione aziendale. Per quanto riguarda il secondo tema, siamo all’inizio e c’è molto da lavorare perché sia intrinsecamente vissuto innanzitutto da chi ha ruoli dirigenziali, affinché attraverso l’esperienza in prima persona possa introdurre il cambiamento atteso nelle singole realtà aziendali. In questo contesto, così come abbiamo visto in materia di diversity management, la regolamentazione può agevolare ed accelerare il processo. Piercarlo Gera (CEO Gera & Partners – Digital strategy and transformation, per diversi anni Global Managing Director Accenture FS) ha condiviso queste riflessioni sugli aspetti interni della agenda delle aziende sociali.

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Riccardo Sebastiano Piaggi (Group HR & Organisation Director Granarolo S.p.A.) ha portato l’esempio di Granarolo, un caso concreto di azienda che ha posto al centro i propri dipendenti e le loro famiglie, in particolare nell’emergenza Covid-19: sicurezza fisica, economica, solidarietà, rispetto delle regole, creando benefici per tutti gli stakeholders tramite la capacità di attrarre e trattenere i talenti, anche attraverso quello spirito di appartenenza che il welfare relazionale può creare. I prossimi passi saranno indirizzati verso la flessibilità oraria ed organizzativa, anche per sviluppare servizi di supporto alla genitorialità e, più in generale, alla famiglia allargata, per sostenere le persone nei vari momenti della loro vita (ad es: caregiver). Tale approccio verrà implementato mediante una piattaforma che offre servizi come premi welfare (es: credito welfare, saving azienda-dipendente…) non in busta paga, ma tramite un portale dedicato, con risparmio fiscale per il dipendente e per l’azienda. Un buon esempio di come la regolamentazione agevola lo sviluppo del welfare relazionale.

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Un altro esempio di come la regolamentazione aiuti è stato fornito da Luciano Malfer (dirigente Agenzia provinciale per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili della Provincia Autonoma di Trento), che ha raccontato l’esperienza della Provincia di Trento, un territorio il cui sviluppo deriva dal 2011, anche dalla priorità data alle politiche per il benessere delle famiglie residenti. Il Trentino ha messo in gioco non solo leve economiche, ma amministrative-pubbliche per potere essere attrattivo: tutti gli attori socio-economici sono stimolati ad essere amici della famiglia, le politiche della famiglia sono messe al centro, senza necessitare di investimenti pubblici aggiuntivi, con il risultato che il territorio diventa più forte, attrattivo e competitivo rispetto ad altri territori. La politica di Family Audit seguita in Trentino, anche al variare delle amministrazioni, mette al centro le persone secondo un approccio bottom-up costruito con gli attori del territorio, che diviene uno stakeholder chiave nelle politiche di welfare aziendale.

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Questa attenzione alla famiglia è perfettamente coerente al nostro ordinamento giuridico, esplicita Maria Novella Bugetti (associato di Diritto privato Università degli Studi di Milano La Statale, Dipartimento di Studi Internazionali Giuridici e Storico-Politici), in quanto la famiglia riveste un ruolo primario nel dare cura: i soggetti coinvolti danno e ricevono cura, soddisfacendo quindi i diritti dei singoli componenti. Parlare di conciliazione lavoro-famiglia, significa parlare di diritto del bisognoso ad essere accudito, prima ancora che del diritto del lavoratore ad accudire, e questo è il punto di partenza per ripensare il welfare: finora è il welfare che ha dato cura al posto del famigliare, ripensare il futuro vuol dire pensare ad un welfare che consenta al famigliare di dare cura a chi in famiglia ha diritto ad essere accudito (es: minore, anziano, disabile…).

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Dopo questi interventi è seguita una sessione di domande e risposte, a cui hanno partecipato tutti i relatori, in cui da una parte si è evidenziato come il tema del welfare non debba essere un vuoto esempio di comunicazione/marketing, che comunque verrebbe immediatamente smascherato, ma un pilastro su cui creare una legislazione nazionale/locale che partendo dalle best practices, come il Trentino, possa consentire di ridurre il divario tra i territori italiani, evidente anche nella tecnologia a disposizione. A tale proposito si è discusso sull’ambivalente ruolo della tecnologia, come emerso durante la pandemia: le persone dicono di lavorare di più, di fatto subendo la tecnologia perché impreparati. La tecnologia ci ha permesso di essere operativi, di lavorare, studiare, comunicare, avere socialità, ma è anche divenuta totalizzante: è il momento giusto per non essere “investiti” ma per gestire/cooperare con essa. L’Italia è un paese tra i meno digitali, tra quelli sviluppati: è il momento di superare l’emergenza ed anticipare scenari evolutivi, programmando azioni consequenziali. In azienda, ad esempio, si cerca di ridefinire l’organizzazione per incrementare il lavoro da casa, sull’esempio di aziende che avevano già adottato strategie di telelavoro/smart working (nel caso del Trentino, anche perché stimolate dal Family Audit) e che si sono trovate preparate di fronte all’emergenza Covid-19. Molte aziende hanno dimostrato grande flessibilità, ascoltando soluzioni che le famiglie hanno trovato autonomamente, soluzioni che spesso hanno consentito un risparmio di tempo a beneficio delle relazioni interne alla famiglia o dedicato al benessere famigliare, creando così un senso di gratitudine-fidelizzazione dei dipendenti e delle loro famiglie verso l’azienda. Si è anche discusso dell’impatto del Covid-19 e di come abbia obbligato i coniugi ad una negoziazione interna faticosa: la famiglia è basata sull’accordo tra i coniugi, ma la negoziazione è “fair” solo se parte da posizioni paritarie, anche di reddito/patrimonio, tra i coniugi, pertanto una discontinuità culturale positiva sarà l’apprendimento in famiglia del valore e degli strumenti per una corretta negoziazione.

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Quale potrebbe essere dunque il passo successivo? Il welfare culturale.

La velocità ed ampiezza del cambiamento che stiamo vivendo oggi, che ha la tecnologia come fattore abilitante e propositivo, non ha paragoni con il passato. A titolo di esempio abbiamo visto con quale rapidità siamo passati, a causa del Covid 19, al work from home, alla telemedicina, alla formazione a distanza, spesso subendo e non gestendo la tecnologia, senza capacità di mitigarla/plasmarla.

Sostenere la relazione del dipendente verso la sua famiglia significa proiettarsi nel futuro, in particolare pensare ai figli per prepararli al mondo che troveranno tra 5-10-20 anni. Un mondo in cui macchine intelligenti, robot, intelligenza artificiale saranno parte integrante del mondo aziendale e sociale: non ha senso cercare di evitare/combattere questo scenario, piuttosto sviluppare la nostra capacità di cooperare con tale tecnologia. Le scuole superiori e le università dovranno preparare gli studenti ad un apprendimento continuativo per tutta la vita, sviluppando/valorizzando in loro le capacità cognitive umane, quelle che rappresentano la nostra distintività rispetto all’intelligenza artificiale/robot: imprenditorialità, creatività, flessibilità culturale, socialità… Se le famiglie saranno in grado di avviare l’educazione dei propri figli coerentemente a questo scenario, sarà molto più facile e di successo il lavoro per le scuole superiori e le università.

È possibile creare un circolo virtuoso a partire dalle aziende. Le aziende saranno in prima linea: per restare competitive dovranno investire non solo in macchine, ma soprattutto sui propri dipendenti, formandoli ed istruendoli non solo in termini operativi, ma soprattutto culturali/attitudinali. Se il dipendente è stimolato/agevolato dall’azienda a trasferire in famiglia quello che apprende in azienda come attitudine verso l’evoluzione tecnologica, si creerà un humus favorevole alla crescita personale adattata alla realtà attuale e prospettica, una realtà in cui il futuro ognuno se lo deve costruire.

La sfida che abbiamo di fronte è, come sempre, culturale: grazie al welfare culturale azienda-dipendente, la famiglia acquisisce quelle attitudini comportamentali per andare verso l’ignoto di un mondo che coopera con macchine intelligenti, aiutando lo sviluppo nei propri figli delle basi umanistiche su cui costruire le proprie competenze/conoscenze e la capacità di essere imprenditori di se stessi, con beneficio prospettico anche per le aziende e per tutti gli stakeholders quando i figli saranno pronti per entrare/costruire il lavoro del futuro, anche in azienda.

Stiamo quindi immaginando un circolo virtuoso azienda-dipendente-famiglia-studenti-scuola superiore/università-azienda, che parte dalla costruzione del welfare culturale.

Stefano Malferrari

co-Founder & CIO Sostake SCP e Senior Advisor BPL Business

[1] Quando si parla di impresa sociale è necessario fare una piccola precisazione. Nell’ordinamento giuridico italiano, si parla di impresa sociale in riferimento ad un ente del Terzo Settore che segue le disposizioni del D. Lgs 117/17 (sostituito dal precedente D. Lgs 155/06). Altra cosa è parlare di Responsabilità sociale dell’impresa (CSR), l’ambito cioè che riguarda le implicazioni di natura etica nella visione strategica e che manifesta l’obiettivo delle aziende a gestire problematiche di impatto sociale ed etico nelle loro attività.