Pubblicati in maggio i risultati di “Perché non lavori?”, l’indagine Isfol sulle cause della bassa partecipazione femminile al lavoro.La ricerca condotta su proposta del Ministero del Lavoro, su un campione di 6000 donne tra i 25 e i 45 anni d’età ha fatto emergere sostanzialmente questo quadro. Le cause dell’inattività femminile possono essere ricondotte a tre nuclei principali: la famiglia, in cui la cura dei figli e dei parenti non autosufficienti è affidata prevalentemente alle donne; il modello di welfare caratterizzato da una carenza di servizi per l’infanzia; l’organizzazione del lavoro per lo più caratterizzata da bassi livelli di conciliazione tra lavoro e famiglia, es. rigidità degli orari di lavoro.Fra le cause anche elementi di natura culturale, per cui tendono maggiormente a non lavorare le donne che hanno avuto madri non lavoratrici, mentre risulta un fattore incentivante l’aver avuto a partire dall’infanzia modelli di donne che lavoravano.Altri aspetti che incidono sull’inattività sono il livello di istruzione e la residenza geografica. Con alcune eccezioni si osserva infatti che il tasso di inattività risulta inversamente proporzionale al livello di istruzione, con percentuali di inattività maggiori al Sud.Secondo l’indagine potrebbe aumentare la disponibilità delle donne al lavoro la possibilità di scegliere un orario ridotto o flessibile con un salario che superi le spese per le attività di cura familiare affidate a terzi. Ad esempio un orario di 25 ore settimanali con una retribuzione mensile netta fra i 500 e i 1000 euro. Per non penalizzare a priori la carriera femminile è comunque importante che tale scelta sia reversibile ed adattabile al variare degli impegni familiari nel tempo.Per maggiori informazioni: Perché non lavori?



