La responsabilità delle emozioni

Una svolta culturale nell’analisi emotivo-comportamentale.

Intervista a Diego Ingrassia, CEO di I&G Management, unica società italiana autorizzata e accreditata da Paul Ekman (pioniere della teoria sull’universalità delle emozioni) per formare i professionisti all’utilizzo dei modelli psicologici nell’ambito del comportamento emotivo.

Master Coach, accreditato dall’International Coaching Federation e Master Trainer TM ATD – Association Talent Development, è il punto di riferimento in Italia per le teorie e i modelli scientifici relativi alle competenze emotive e la comunicazione non verbale. Si occupa di Assessment, Consulenza e Formazione Comportamentale e Manageriale presso le più importanti realtà multinazionali dal 2003.

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FMV: Lei si occupa da diversi anni di analisi emotivo-comportamentale. Di che cosa si tratta nello specifico?

DI: Parto da questo principio: gli errori che possiamo commettere nei vari ambiti della nostra vita (ndr. competenze manageriali, personali e relazionali) nascono quasi sempre da una errata valutazione, legata ai limiti della nostra soggettività.  Dovremmo invece cercare di osservare una persona attraverso uno sguardo più ampio: nei suoi comportamenti, nelle sue emozioni, nelle sue motivazioni e nei suoi valori, nelle sue caratteristiche ed esperienze… Queste sono le quattro aree che andiamo a toccare quando parliamo di valutazione in ambito professionale.

La valutazione emotivo-comportamentale ha un focus sul comportamento, ma soprattutto sulle emozioni che hanno generato quel comportamento. Non è una valutazione statica, ma dinamica, in cui è necessaria la relazione tra gli interlocutori. Questa metodologia permette di osservare le dinamiche emotivo-relazionali in maniera meno soggettiva, attraverso metodi e strumenti che arrivano anche da molto lontano (ndr. ad esempio, quando parliamo di emozioni non dobbiamo dimenticare l’evoluzione, perché alcune dinamiche relazionali sono dinamiche inconsapevoli e in cui il nostro corpo reagisce in maniera automatica).

Si tratta di una metodologia di valutazione basata su fondamenti scientifici, derivati dalle ricerche in diverse discipline.

FMV: Tra le possibili applicazioni dell’analisi emotivo-comportamentale ce ne sono due che ci interessano più da vicino: l’organizzazione aziendale e la psicoterapia delle coppie e delle famiglie. Ce ne può parlare più nello specifico?

DI: Partiamo da un esempio, noi diamo e riceviamo feedback in continuazione, sia in ambito aziendale che nelle relazioni personali e di famiglia. Questa dinamica è inevitabilmente soggetta ad emozioni, perché può essere percepita come una intrusione o un attacco ai valori personali. Se non siamo in grado di riconoscere le emozioni che entrano in gioco, potremmo immaginare la persona che abbiamo di fronte come aperta e disponibile a ricevere il nostro feedback, ma questo è chiaramente illusorio. La cosa veramente importante è riuscire a valutare qual è l’emozione che sta avvenendo tra noi, mentre c’è questo scambio di informazioni, così da riuscire a gestire al meglio quella relazione.

In ambito manageriale, tutto questo è molto importante, perché sappiamo bene che qualunque cosa io faccia come manager – motivare, spronare, delegare – susciterò delle emozioni, che dovrò saper gestire per ottenere il risultato che desidero. La valutazione emotivo-comportamentale ci aiuta ad operare in maniera più oggettiva rispetto all’emozione che l’altro sta provando, dandoci la possibilità di mettere in atto la strategia più adeguata.

In ambito famigliare, le emozioni sono molto presenti, ma ci fanno talmente paura che non le osserviamo da vicino e quasi le neghiamo. Una delle strategie disfunzionali nelle relazioni è infatti proprio la negazione (ndr. cioè io nego di provare un’emozione perché quella emozione non la voglio vedere in nessun modo). Se volessimo fare un esempio, due emozioni molto pericolose nelle dinamiche famigliari sono, il disprezzo e il disgusto, Nel disprezzo mi sento superiore, nel disgusto addirittura mi allontano! Mi capita spesso di osservare persone che vivono l’ambiente famigliare come “tossico”. Questo non significa che nei momenti in cui proviamo disgusto e/o disprezzo il nostro matrimonio sia finito o che la relazione familiare sia definitivamente compromessa. Dobbiamo tuttavia interrogarci sulla durata di queste emozioni, e soprattutto valutare il contesto in cui ci accorgiamo di provarle. Se non ci riusciamo da soli, un professionista può aiutarci a riavvicinarci all’altro.

FMV: Quali sono le principali strategie che in questi contesti possiamo attuare secondo l’analisi emotivo-comportamentale?

Sia in azienda che in famiglia, le strategie che normalmente mettiamo in atto, sono sempre comportamenti che ci allontanano dalle emozioni: in genere, sono strategie di evitamento, soppressione, compensazione… E se non ci allontaniamo dalle emozioni, ce ne avviciniamo in maniera malsana (ndr. il rimuginio), senza pensare a soluzioni alternative.

Una strategia funzionale potrebbe essere diventarne consapevoli, cioè iniziare ad avvicinarci alle emozioni che stiamo vivendo. Per esempio: prendersi la responsabilità di ciò che proviamo e iniziare a parlarne. Per troppo tempo si è pensato che parlare delle emozioni fosse una caratteristica delle persone deboli. Oggi finalmente le emozioni vengono accettate, e questo, a volte, permette di risolvere situazioni complesse, anche semplicemente parlandone.

Quindi direi che una strategia funzionale, che vale per ogni contesto, non solo per quello aziendale e famigliare, si distingue per questi passaggi: riconoscimento, accettazione, autovalidazione e apprendimento. Il vero tema, quindi, è lavorare per sviluppare un’adeguata alfabetizzazione emotiva.

FMV: In che modo le aziende possono supportare le famiglie, anche nell’orizzonte della conciliazione famiglia-lavoro, grazie all’analisi emotivo-comportamentale?

Per provare a rispondere a questa domanda è utile considerare due argomenti che, secondo me, sono molto rilevanti: il conflitto e le competenze emotive.

Da un punto di vista culturale, il conflitto è qualcosa che ancor oggi viene vissuto in maniera negativa. E, d’altro canto, essere emotivi non è segno di debolezza, anzi, è segno di grande forza.

Oggi si parla di leadership autentica, e l’autenticità è nell’essere umano, anche nel riconoscimento delle proprie emozioni e debolezze. Oggi i veri leader dovrebbero essere in grado di condividere le proprie fragilità e non ciò che le nasconde!

Certamente, siamo di fronte a un cambio di mindset culturale: parlare di emozioni e affrontare il conflitto come momenti di crescita, come qualcosa di positivo.

Iniziare a supportare le persone rispetto a questi due temi, sarebbe già un bel punto di partenza per le aziende. Ma vale anche per la scuola, perché è da lì che bisogna iniziare.

È un po’ cercare di sostituire la figura del manager come di colui (o colei) “non deve chiedere mai”, parlando invece di leadership autentica, orientata a saper condividere emozioni ed aree di miglioramento.

FMV: Qual è l’insegnamento più grande che Diego Ingrassia ha imparato nello studio delle emozioni?

DI: Visto che le emozioni fanno parte della nostra evoluzione e sono all’interno del nostro DNA (ndr. perché noi già da bambini sappiamo riconoscerle), spesso mi viene chiesto quanto possiamo affidarci all’intuito nell’ambito delle emozioni.

Io rispondo sempre che è importante avere un metodo. Un metodo per poter riconoscere le emozioni in sé stessi e negli altri, perché questo ci aiuta a fare molta meno fatica e anche a evitare errori di interpretazione che in questo campo purtroppo possono essere molto frequenti.

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