Grazie al Fondo Sociale Europeo la Regione Veneto si è fatta promotrice del progetto “Work – Life Balance Network”, un’esperienza coordinata da Verona Innovazione, azienda speciale della Camera di Commercio di Verona.
Sono 200 le aziende e circa 1.500 i dipendenti coinvolti. I primi risultati del progetto, iniziato nel 2014 e che si conclude proprio alla fine di questo mese, sono stati presentati lo scorso 16 giugno nella sede della Camera di Commercio di Verona.
Colpisce da subito il contesto, seppur specifico, in cui il progetto si inserisce: da un lato la creazione di una rete territoriale vita-lavoro, dall’altro la sua sperimentazione attraverso iniziative di formazione e di integrazione e una specifica attenzione allo sviluppo imprenditoriale.
Vari i partner di progetto, da Confcommercio Verona a Variazioni, da Cosp Verona a Unionservices e Upa Servizi. Né mancano i partner del terzo settore: Fondazione G. Toniolo e Cooperativa sociale Aribandus. I partner hanno condiviso una visione d’insieme: vita e lavoro non possono essere considerati due ambiti disgiunti e separati, ma sono entrambi dimensioni importanti che vanno integrate nell’ottica della creazione di maggior benessere.
Quindi, come la qualità della vita e l’analisi del benessere dei dipendenti debba necessariamente portare ad un partenariato basato sulla necessità di implementare le pratiche riservate alle imprese più piccole, che da sole non possono avere i mezzi per attuare efficaci politiche di conciliazione lavoro famiglia. E ancora, come in pochi mesi il risultato raggiunto sia stato soprattutto quello di portare la strumentazione nelle aziende e negli enti locali. Il tutto per via della necessità di ripensare alle politiche e alla cura delle famiglie in un’ottica integrata, come sostegno alla natalità e ai servizi di welfare, per esempio, o come ecosistema della conciliazione vita-lavoro, che già Luciano Malfer nella provincia di Trento sta mettendo a fuoco in questi ultimi anni.
Il progetto che coinvolge la provincia di Verona è teso alla costruzione di un network in cui il lavoro venga inteso anche come una sorta di obbligo morale e civile e che proprio per questo necessita di un progetto comune. E in questo è fondamentale l’ascolto dei protagonisti che si muovono all’interno di vari contesti professionali, siano essi imprenditori o dipendenti, ma anche e soprattutto la raccolta di tutta una serie di risultati che possano porsi al centro del dibattito su cui basare le azioni future da intraprendere.
Ecco la peculiarità di questo progetto: l’assunzione di un team di ricercatori che hanno seguito più da vicino la costruzione di questo network, mettendo a fuoco istanze differenti e commentando i risultati della loro ricerca.
Fra queste Lorenza Rebuzzini, alla quale abbiamo chiesto di illustrare il suo impegno specifico in questo progetto.
Di seguito riportiamo l’intervista.
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FMV: La conciliazione è solo una questione di pari opportunità, o è possibile cercare di promuovere un diritto alla conciliazione?
LR: Le politiche di bilanciamento vita-lavoro così come sono state promosse dall’Unione Europea e recepite in Italia sono state impostate come politiche di pari opportunità per favorire l’occupabilità e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro dopo la maternità, avendo come obiettivo quello di colmare il divario in termini di forza lavoro e, in seconda battuta, in termini di possibilità di crescita professionale. Tali politiche sono state promosse sostanzialmente attraverso la creazione di servizi di welfare per la prima infanzia e la promozione di buone prassi e di sperimentazioni a livello aziendale e territoriale: l’Art. 9 della Legge 53/2000 propone in effetti tale approccio. L’Art. 9, pur con notevoli appesantimenti di ordine burocratico-amministrativo, ha indubbiamente permesso di realizzare numerosi progetti di conciliazione famiglia-lavoro sia in grandi aziende sia in aziende con meno di 10 dipendenti. Tuttavia, in Italia in particolare e in larga parte per molteplici motivi legati sia al tessuto imprenditoriale e produttivo, sia all’organizzazione delle politiche di welfare, le best practices non sono mai riuscite a “fare sistema”, a diventare cioè un patrimonio di cultura e di prassi condiviso e agito. Uno dei limiti, riscontrabili soprattutto nel nostro Paese, riguarda proprio il tema delle pari opportunità: trattare la conciliazione famiglia-lavoro come questione di pari opportunità femminile non ha contribuito a indebolire l’assunto secondo il quale sono le donne a detenere in maniera quasi esclusiva l’onere e l’onore della cura familiare. Oggi peraltro il contesto è profondamente mutato, e i cosiddetti “nuovi padri” esprimono un maggior desiderio di coinvolgimento, e spesso una reale capacità di assolvere compiti di cura precedentemente riservati alle madri.
Dunque, i due capisaldi da cui ripartire sono fare sistema e ragionare in termini di pari opportunità genitoriale, più che femminile. In questo senso si è cercato di uscire dall’approccio per buone prassi andando a sondare quali possibilità ci siano di promuovere un diritto alla conciliazione. In effetti nella nostra Costituzione sono presenti i fondamenti di tale diritto negli Art. 3, 36, 37 e 38, laddove si definisce come diritto la creazione di misure adeguate e sufficienti affinché chi ha compiti di cura possa partecipare al lavoro secondo i propri criteri di scelta. Su questi temi c’è una specifica riflessione di diritto del lavoro, oltre che una specifica riflessione sul tema delle relazioni industriali e in particolare sulla contrattazione di secondo livello, che appare come uno strumento capace di realizzare la promozione di un diritto alla conciliazione e al tempo stesso soluzioni flessibili che siano compatibili con le esigenze delle aziende.
FMV: Flessibilità, innovazione, benessere: sono queste le chiavi della produttività?
LR: Il tema della produttività è estremamente complesso, tuttavia da sempre la riflessione sul bilanciamento vita-lavoro ha intercettato alcuni nodi centrali, quali appunto una flessibilità buona, un’organizzazione del lavoro, cioè che tuteli le persone consentendo loro però margini di gestione del proprio tempo e l’innovazione dei processi in ottica di bilanciamento vita-lavoro. Viviamo in un’epoca di profonda innovazione tecnologica, che è stata assorbita nella pratica quotidiana ma finora non è stata gestita: il tema dei confini sempre più sfumati tra vita e lavoro e della reperibilità costante può diventare occasione di burn out, in negativo, o possibilità di uscire dall’ufficio alle 16 per poter accompagnare il figlio all’allenamento di calcio; può diventare, in negativo, il “controllo” del lavoratore o, in positivo, un tema di “responsabilizzazione” del lavoratore e dell’azienda anche rispetto alla gestione del bilanciamento vita-lavoro. Cosa crea benessere, un dipendente che sa di poter dire che accompagna il figlio a calcio, o un dipendente che deve far finta di dover andare dal dentista tutte le settimane? Un dipendente che si sente spiato o un dipendente a cui viene restituita titolarità rispetto a obiettivi e scadenze di lavoro definite? Sappiamo che si tratta di un cambiamento forte di prospettiva, di cultura aziendale di riferimento e anche di gestione delle relazioni industriali. D’altronde la positiva correlazione tra benessere e produttività è stata più volte dimostrata, così come nella survey 2014 di Eurofound Living and Working Conditions in Europe viene evidenziato che l’Italia è in fondo alla classifica nella correlazione tra benessere dei dipendenti e performance aziendali.
FMV: La contrattazione di II livello, di cui si è occupata in questa ricerca, è uno strumento di conciliazione?
LR: La contrattazione è di per sé uno strumento di composizione del conflitto sociale, e la contrattazione di secondo livello sia essa aziendale, interaziendale o territoriale può essere uno strumento efficace di conciliazione. La contrattazione di secondo livello copre, secondo i dati del Rapporto OCSEL 2015 il 21,7% delle aziende italiane. Certamente gli ostacoli alla diffusione della contrattazione sono molteplici, legati alla dimensione delle aziende, all’istituto stesso della contrattazione e alla sua (ancora) scarsa esigibilità, alla difficoltà in molti casi di avere norme certe e definite per avviare processi di sperimentazione e innovazione nella gestione del personale. Tuttavia, leggendo molti contratti di secondo livello è possibile individuare e apprezzare quello che in molte aziende è stato fatto in tema di bilanciamento vita-lavoro: dal congedo di paternità per i dipendenti, a schemi di part-time flessibile, a congedi per la malattia dei figli, a tutte quelle azioni di welfare aziendale che risultano essere strumenti formidabili per la conciliazione famiglia-lavoro.
FMV: Nel Suo intervento ha fatto riferimento ad alcuni risultati dell’Osservatorio Ocsel sulla contrattazione: cosa c’è di rilevante da sottolineare?
LR: L’Osservatorio OCSEL propone una fotografia sull’andamento della contrattazione dal 2009 al 2014: si tratta di una fotografia non statisticamente rappresentativa e non esaustiva, ma affidabile. Emerge come la contrattazione di secondo livello si strutturi oggi come contrattazione aziendale e molto meno frequentemente come contrattazione territoriale o interaziendale e come, in questi anni di profonda crisi, sia stata sostanzialmente utilizzata come lo strumento di gestione delle crisi aziendali e di accordi salariali. La nota interessante è che il terzo istituto maggiormente contrattato è quello dei diritti sindacali, con richieste di maggiore trasparenza e informazione sull’andamento economico e produttivo dell’azienda. Infine, tra gli istituti che riguardano il bilanciamento vita-lavoro quello maggiormente contrattato riguarda l’orario di lavoro, con la promozione di orari più elastici legati alla gestione dei picchi e dei flessi di mercato: si tratta di una contrattazione che riguarda principalmente aziende del settore Commercio e Manifattura.
FMV: A Suo avviso l’Art. 25 del Jobs Act (D.L. 15 Giugno 2015, n. 80) può essere una soluzione per le aziende in tema di conciliazione lavoro famiglia?
LR: Per la prima volta il tema della conciliazione famiglia-lavoro entra in un disegno di riforma del lavoro, e di questo dobbiamo prendere nota. L’Art. 25 prevede incentivi fiscali pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per le aziende che contratteranno la conciliazione tra vita professionale e vita privata, rifacendosi allo schema della L. 247/2007, Art. 1 comma 68 relativo agli sgravi fiscali per il Premio di Produttività. Anche nel caso degli incentivi fiscali per la contrattazione aziendale sulla conciliazione famiglia-lavoro si attende il decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Infine, viene istituita una cabina di regia che redigerà le linee guida e i modelli per la redazione di una contrattazione in ottica di bilanciamento vita-lavoro. Credo che questa novità sarà efficace nella misura in cui le norme e le direttive saranno chiare ed effettivamente esigibili, e nella misura in cui le parti datoriali e le parti sociali dimostreranno una reale volontà di trovare nella contrattazione aziendale della conciliazione famiglia-lavoro un luogo e uno strumento in cui promuovere dialogo e partecipazione in un’ottica di promozione del benessere condiviso.
Bibliografia
M. Faioli, L. Rebuzzini, Conciliare vita e lavoro: verso un welfare plurale, Working Paper, Fondazione Brodolini, 2015.
L. Rebuzzini, Famiglia-lavoro: un nuovo diritto?, Rivista di Scienze dell’Educazione, n. 2, 2014, pp. 180-190.
L. Rebuzzini, Famiglia, lavoro e cura, Pedagogika.it. Rivista di educazione, formazione e cultura, n. 4, 2013.