Rivoluzione “Smart” a lavoro: con le relazioni al centro

La relazione al centro nella società della prestazione

Il lavoro è innanzitutto relazione. Potremmo iniziare e finire così e dentro ci sarebbe già tutto quello che ci serve.

In realtà molto di quello che ci serve (anche di ciò che ci serve ascoltare proprio in questo momento storico!) lo troviamo in Smart working reloaded. Una nuova organizzazione del lavoro oltre le utopie (di Luca Pesenti e Giovanni Scansani, con un saggio di Angelo Zambelli, Vita e Pensiero, 2022, pp. 208). Noi lo abbiamo ri-letto così.

Radice

Queste pagine rappresentano lo sforzo di mettersi in ascolto del presente alla luce del passato e con uno sguardo verso il futuro.

Da Aristotele a Giovanni Paolo II e proseguendo fino ai nostri giorni, si ripete quanto il valore del lavoro è l’uomo stesso. Forse abbiamo perso di vista questo punto di partenza, presi da una pandemia che ha stravolto il nostro sistema organizzativo e non solo. E abbiamo iniziato a mescolare troppo le carte e a dare un nome (errato!) alle cose.

Prima dello smart working esistevano già alcune forme di lavoro da remoto. Prima che arrivasse il “salvatore della patria” c’era pure qualche normativa in questo ambito. Ed ecco la prima peculiarità di questo libro: che ci ricorda come nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

Domande

E la trasformazione è un’accelerazione, che la pandemia ha messo in atto, ma l’attesa messianica degli apostoli del lavoro agile dei primi mesi del 2020 è stata ben presto “rovinata” dal ritorno alla “realtà” nell’ultimo anno. I nostri Autori già ci avevano aiutato a ri-pensare questo fenomeno in Welfare aziendale: e adesso? (Vita e Pensiero, 2020), quando la “Smart Working Euphoria” stava iniziando a spegnersi e si cominciava ad intravvedere che quello che era successo da marzo 2020 in poi non sarebbe diventato la regola del futuro.

Ecco allora la sfida epocale che abbiamo davanti, che porta a chiederci quali sono i limiti dello smart working? Limiti, che, come le virtù, non valgono solo per l’emergenza, ma per sempre.

Il lavoro da remoto è davvero più produttivo? Che cosa accade se il luogo di lavoro scompare? Come combattere le disuguaglianze che si creano in questo ambito? Siamo davvero pronti a cogliere questa sfida?

Partecipazione

Consapevoli che la tecnologia da sola non basta, è necessario analizzare tutte le dimensioni coinvolte nel lavoro agile: quella organizzativo-manageriale (produttiva e competitiva), quella individuale e professionale (work-life balance), quella politico-sociale (economia dei territori, delle città…).

La manodopera non basta più a comprendere i fenomeni: ci vuole la mentedopera!

Anziché costruire uno Scientific Management dobbiamo creare l’Humanistic Management!

Dal lavoro agile vale la pena passare all’Agile Working!

Lo smart working è partecipazione. E pensare che qualche anno fa tutto sembrava tranne che questo…

Intermezzo

A questo punto il libro si “sospende” per qualche pagina, nell’esigenza, dichiarata da parte degli Autori (e anche in quella forse meno dichiarata dei lettori!), di quanto sia necessario ancorare questi cambiamenti a norme attuali e a regole auspicabili. Entra in gioco Angelo Zambelli, che con una semplicità e una chiarezza (senza lungaggini!), non sempre facile da rintracciare in pagine che si occupano di questi temi, ricostruisce, tra nuove tecnologie e normative vigenti, la genesi di un cambiamento in atto che ha già vari elementi ben fissati, ma molti altri ancora da sistemare.

Best practices

E se la prestazione (non solo quella de La società della stanchezza di Han che l’uomo stesso si auto-impone) è al centro dei pensieri delle grandi aziende, le domande in questo ambito si moltiplicano: come fare a controllarla, come misurarne i risultati, come salvaguardare i dati?

Ci si rende sempre più conto che il “fenomeno Smart” è un fenomeno tutt’altro che smart ed è necessario guardarlo innanzitutto con la lente della sostenibilità: che è sempre una sostenibilità economica, ambientale e sociale.

Gli Autori ce ne danno un esempio a partire da casi concreti: quelle best practices (nel libro ne troviamo undici) che non hanno la pretesa di dire “si fa così”, ma che iniziano e finiscono tutte con il presupposto di partenza che ha mosso l’incipit di queste pagine, e che credo animi anche la passione degli Autori: il lavoro è innanzitutto relazione e allora le best practices vanno rilette solo nella logica del win-win.

Lo smart working, anche in questa versione reloaded, ce lo insegna una volta di più.

Photo by Elena Mozhvilo on Unsplash