Dal punto di vista dei valori, il popolo filippino è un popolo di grandi lavoratori, e questo è quello che più lo contraddistingue e che forse è un po’ sotto gli occhi di tutti.
Intervista a Christine Chua – Sales Manager, Delta Contract S.p.A.
FMV: Concezione e cultura del lavoro nelle Filippine. Quali sono gli aspetti principali da considerare e quali i valori più diffusi tra i lavoratori?
Ci tengo a fare una premessa. Vivo in Italia da tanti anni e non ho una conoscenza così approfondita del tema del lavoro circoscritto alle Filippine. Sono arrivata in Italia che avevo appena finito di studiare. Quindi non mai lavorato nelle Filippine.
Però mi sono sicuramente fatta un’idea di quello che succede nel mio paese e volevo fare da subito due considerazioni. Una sulla burocrazia e l’altra sulla ricerca del lavoro: nelle Filippine sono entrambi temi molto problematici.
Dal punto di vista dei valori, posso sicuramente dire che il popolo filippino è un popolo di grandi lavoratori, e questo, credo, è quello che più ci contraddistingue e che forse è un po’ sotto gli occhi di tutti. Dispiace rendersi conto che ci sono anche persone che non hanno una gran voglia di lavorare; oserei quasi dire che trovano più “comodo” essere poveri che cercare lavoro, specie a a Manila, è più semplice vivere “sotto i ponti” con i sussidi del Governo che non andare alla ricerca di un lavoro vero.
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FMV: Rapporto tra dipendente/datore di lavoro nelle Filippine: in che modo i capi vedono i loro dipendenti?
Per rispondere a questa domanda bisogna distinguere tra azienda e azienda, ovviamente. Ci sono aziende che fanno crescere i loro dipendenti, ma ci sono anche capi-padroni, che trattano a sufficienza i lavoratori. Il divario, in questo senso, è molto ampio nelle Filippine.
Devo dire che al mio arrivo in Italia sono stata fortunata, perché tranne il mio primo lavoro come colf, ho conosciuto persone che mi hanno sempre rispettata come lavoratrice. Anche quando mi sono trovata a fare da badante o quando ho iniziato a lavorare in azienda, perché ho iniziato dal basso, prima di arrivare dove sono ora. Quello che posso dire è che ho sempre avuto una possibilità di crescita, sia personale che professionale. E questo credo sia la cosa più importante che un datore di lavoro possa dare ai suoi dipendenti.
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FMV: Lavoro dei filippini nelle Filippine e lavoro dei filippini all’estero: ci sono differenze del modo di intendere la concezione professionale in base ai contesti in cui si vive oppure la tradizione culturale va al di là dei luoghi?
Una differenza sta forse nel fatto che, a differenza dei filippini che sono molto umili e accettano la sfida di cominciare piano piano e da zero, i ragazzi italiani che oggi arrivano in azienda, spesso alla loro prima esperienza, sono molto “legati ai libri”, dipendenti dal loro titolo accademico e non hanno tanta voglia di lavorare veramente, di sporcarsi le mani, perché avendo studiato pensano di dover iniziare da subito da un certo livello. Forse non credono prorpio nel partire dal basso per arrivare in alto. Fare la gavetta, invece, a mio modesto avviso, aiuta la persona a percepire com’è veramente la vita. Io, ad esempio, ho quattro nipoti e vedo che anche a loro manca quella grinta di uscire allo scoperto e lottare. Forse in Italia ci si sente un po’ “figli di papà”, nelle Filippine si è molto più umili.
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FMV: Quali sono, secondo lei, le principali sfide culturali che i filippini che arrivano in Italia sono costretti ad affrontare?
La lingua, innanzitutto. E poi, scusate, il razzismo con cui ci si confronta. In Italia, a volte, si pensa ancora che gli stranieri “rubino” il lavoro. Quando ho iniziato a lavorare, la mia sfida più grande è stata superare la diffidenza: ero straniera, donna, per di più lavoravo in un settore prettamente maschile, quello navale. Era difficile essere compresa da subito.
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FMV: Qualcosa che l’Italia potrebbe imparare dalla cultura filippina in tema di lavoro e qualcosa che le Filippine possono imparare vivendo la cultura della nostra penisola.
Vorrei evidenziare due paradossi, cercando di rispondere a questa domanda.
Per quanto riguarda i filippini sono persone che si aiutano molto, solari e gioiose. E che, allo stesso tempo, quando si confrontano con persone come me che ho fatto un certo tipo di percorso al di fuori dal contesto culturale filippino, mi “guardano” come fossi una “straniera”. Sto pensando a quella che chiamano crab mentality, la mentalità da granchio, che risponde un po’ al modo di pensare: “Se non posso averlo, allora non devi averlo nemmeno tu”.
Per quanto riguarda gli italiani, quando intravvedono il potenziale in una persona, anche se straniera, le danno una possibilità, un aiuto, un sostegno. Paradosso anche qui, perché c’è sempre anche il tema della diffidenza iniziale, un po’ nei confronti delle donne e un po’ nei confronti dello straniero.