Mi ha colpito molto la teoria alla base dello studio Famiglia e lavoro: intrecci possibili (a cura di Claudia Manzi e Sara Mazzucchelli, Vita e Pensiero, 2020, pp. 216), molto più vicina alla mia personale esperienza di manager e professionista di quella in cui affonda le sue radici la fortunata espressione anglofona “work-life balance”, che risuona da anni nei corridoi e nelle sale riunioni, ormai svuotate dalla pandemia, di tante aziende internazionali ed italiane.
L’intreccio tra famiglia e lavoro, infatti, implica non un conflitto, ma un confine, che c’è ed è giusto che ci sia. Un confine duttile e malleabile come lo siamo tutti noi di fronte al nostro dovere di figli, madri, padri e lavoratori in un’articolazione complessa di compiti, ruoli e relazioni. Ogni persona è moglie, marito, madre, padre, figlia, figlio, amica, amico, professionista e così via.
Nel testo in analisi, sin dalle prime pagine, emerge come il vento stia cambiando anche nella nostra Italia dove, se il rapporto lavoro e famiglia è ancora irrisolto, stanno arrivando dei segnali positivi sia dalle aziende che dalle Istituzioni e dall’Accademia.
Ma è davvero possibile l’“intreccio sostenibile” tra famiglia e lavoro?
Il nostro studio risponde a questa domanda e a tante altre ancora con numeri e statistiche, presentandoci i risultati di un’interessante ricerca del 2019, “Talenti senza età”, condotta dal Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla Famiglia e dall’associazione di imprese Valore D, che dal 2009 si impegna per l’equilibrio di genere e per una cultura inclusiva nelle organizzazioni.
Un primo elemento che emerge da questa ricerca è che l’età media dei 12.746 dipendenti tra i 50 e i 79 anni delle 34 aziende coinvolte, tutte leader e appartenenti a diversi settori, è “solo” di 55,33% (il 63,6% uomini e il 36,1% donne). Inoltre, anche in queste aziende così “giovani”, sicuramente tra le più rilevanti nel panorama italiano, si riscontra il fenomeno del soffitto di cristallo: le donne sono più frequentemente impiegate mentre gli uomini sono più spesso quadri e dirigenti. Quel soffitto è lì e non si riesce a rompere dal basso e dall’interno delle organizzazioni, tranne alcune eccezioni di aziende più virtuose. Dall’alto, invece, una legge, la Golfo-Mosca del 2011, ha fatto tanto per la rappresentanza delle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate che è passata dal 2011 al 2019 da 5,7% a 35,5%. Questa legge, la n. 120 del 12/07/2011, ha influenzato molto di meno, però, sia la rappresentanza di donne nelle posizioni apicali che non fanno parte dei consigli di amministrazione, passate da 46 nel 2011 a 71 nel 2019, sia la percentuale di donne dirigenti, cresciute, nello stesso periodo, dal 11,9% al 17,6% (Fonte: Corriere buone notizie, 11 giugno 2019). Insomma, qualcosa si muove, ma siamo ancora lontani da un’equa rappresentanza e da effettiva parità.
Tornando al nostro campione della ricerca emerge che l’89,3% è coniugato, l’85,3% ha figli ed il 76,1% ha un partner che lavora a sua volta. Uno spaccato di famiglie di lavoratori per cui, secondo questi dati, il proprio benessere è legato non tanto all’aiuto che riceve dal partner, quanto alla fiducia e alla comprensione che ha e riceve da lui o da lei.
Già alla fine degli anni Novanta il Senior Partner di Accenture Marco Vigorelli, da cui prende il nome la Fondazione Marco Vigorelli, riteneva la fiducia del partner ed il riconoscimento reciproco del lavoro svolto in famiglia e fuori gli ingredienti principali della sua ricetta di intreccio possibile: «gratificare, ringraziare, valorizzare» e «staccare la spina per dedicare attenzione alla famiglia».
Non è semplice quando hai duemila cose da fare e la tua vita ruota intorno a numeri, risultati, presentazioni e riunioni (in presenza o virtuali), ma non è impossibile. Si può fare personalizzando i nostri intrecci possibili, riscoprendo e valorizzando persone e relazioni. Solo così avremo aziende sostenibili, ispirate da valori reali, non solo dichiarati, consapevoli e coscienti del capitale più grande di cui dispongono: donne e uomini, individui unici, che con il loro lavoro e le loro relazioni si impegnano a costruire una società ed un’economia più sostenibile e moderna, che utilizzi le risorse per la promozione del bene comune. Un bene che non si contrappone all’individualismo perché, in azienda come nella società, le nostre vite e le nostre storie sono interconnesse, come ci ha dimostrato amaramente quest’anno di pandemia.
L’unico futuro auspicabile a cui dobbiamo volgere i nostri sforzi e le nostre risorse è un futuro sostenibile e duraturo, dove tutti gli attori coinvolti si impegnino a tutelare persone, famiglie, relazioni e ambiente, in un intreccio possibile e rivolto verso il bene.
Tiziana De Marino
Business & Customer Development e Membro del CDA della Fondazione Marco Vigorelli