Capitale umano, innovazione e sostenibilità

L’esperienza di Francesca Morandi nel settore siderurgico, tra visioni del futuro, valori, vita personale e impegno professionale.

Parliamo di-partenza dell’economia nell’era post-Covid: quali sono, secondo te, gli assi su cui costruirla?

Il Covid ha accelerato tante tendenze e ha anche messo in luce una serie di difficoltà, soprattutto in ambito organizzativo. Si tratta di tradurre questo tipo di difficoltà in nuovi traguardi, trasformando le disparità in opportunità di crescita per tutti. Lo scorso mese sul Corriere della Sera appariva un’intervista molto bella ad Alec Ross, in cui egli fa un paragone, anche molto azzardato, sugli anni che seguirono la Seconda guerra mondiale. Ross sostanzialmente sostiene che, ripensando a quel periodo, si nota in noi italiani un grande senso del dovere, una grande determinazione, disciplina e spirito imprenditoriale, che sappiamo tirare fuori nei momenti di crisi. Il suo auspicio è che possiamo mettere ancora in campo queste doti, soprattutto in questo momento storico.

Per rispondere, però, nello specifico alla tua domanda, mi sono chiesta su quali parole chiave vogliamo e possiamo ripartire. E ne ho individuate tre.

La prima è capitale umano: riusciremo davvero a ripartire quando sapremo mettere al centro le donne e gli uomini che fanno le nostre filiere, avendo a cuore la loro formazione e la loro crescita così da ridurre il mismatch tra domanda e offerta di figure professionali che è tipica del nostro Paese. In questo “capitale umano”, ci metto anche il ruolo dei giovani che sempre più dovranno, con il loro sguardo sul futuro e la loro sete di novità, essere capaci di dare il proprio contributo.

La seconda parola chiave è innovazione. La velocità di questa accelerazione digitale che sta impattando in tutti i settori, compreso quello siderurgico, non è solo la digitalizzazione del Paese, perché l’innovazione non è solo un’innovazione di prodotto e di processo. Innovare significa anche capacità di riscrivere modelli di business. Penso per esempio a mio padre che, a un certo punto, creando Siderweb nel settore siderurgico, ha creato un nuovo “oceano blu”, come lo chiamerebbe lui, passando da un mercato fatto di logiche di scontro, a un mercato di condivisione, trasparenza, partnership.

La terza è sostenibilità. Oggi la sostenibilità sta diventando sempre di più parte delle strategie dell’azienda, non è più un trend da seguire, ma un vero e proprio pilastro della strategia e del modo di fare impresa. È una sostenibilità di tipo economico, sociale e ambientale, con cui le imprese guardano al lungo periodo, alle prossime generazioni e anche all’ambiente circostante, agli stakeholder di riferimento e alle persone. Essere sostenibili vuol dire creare un’impresa sana, bella, dove le persone amino lavorare ed essere partecipi. E i giovani che si affacciano sul mondo del lavoro sono molto selettivi in termini di sostenibilità: vogliono un’impresa non solo attenta al pianeta, ma all’equilibrio tra vita privata e mondo del lavoro.

Ecco, per me capitale umano, innovazione e sostenibilità sono un po’ i tre assi su cui si può costruire la ripartenza.

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In che modo l’alleanza tra sostenibilità e innovazione può riscrivere l’economia di domani?

Quando dico che la sostenibilità deve diventare il pilastro delle strategie aziendali, ho in mente buone pratiche concrete, operative, che siano misurabili, perché alla fine non possiamo migliorare ciò che non misuriamo, con parametri e strumenti che possano essere monitorati nel tempo, migliorati e poi comunicati, perché anche la narrazione, la comunicazione diventa parte della strategia.

Anche le aziende hanno capito che “non possiamo rimanere sani in un mondo malato”, parafrasando le parole che Papa Francesco ha pronunciato lo scorso 27 marzo 2020. Al di là del messaggio della Laudato sii, in Economy of Francesco, giovani imprenditori, change maker, economisti di tutto il mondo si sono impegnati a riscrivere una nuova economia. E questo è un messaggio e un impegno che anche le aziende dovrebbero fare proprio e che deve tradursi, a mio avviso, in un nuovo modo di vedere l’economia, più inclusiva, con al centro l’uomo, che superi il capitalismo selvaggio.

Personalmente mi auguro che questi pensieri diventino realtà sia nelle nostre aziende che nelle nostre filiere. Senza dimenticare che lo sguardo per guardare all’economia di domani è anche uno sguardo femminile.

Uno dei tavoli a cui sono stata invitata a partecipare nelle iniziative di Economy of Francesco era guidato da suor Alessandra Smerilli, la quale ha ribadito come noi donne in quanto “portatrici della cura”, di questa attenzione alle relazioni, dobbiamo e abbiamo il dovere di portare fuori dal nostro intimo, nelle imprese, nelle aziende, nelle organizzazioni, nella politica una tale attitudine. Solo così l’economia potrà ripartire…

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Hai parlato di best practices in ambito di sostenibilità… Ci racconti un esempio concreto che stai portando avanti in questo senso?

Me ne vengono in mente due.

Il primo: se penso alla sostenibilità umana, cioè l’uomo al centro, mi viene da pensare che qualche anno fa, come azienda, abbiamo scelto di fare entrare nella compagine azionaria alcuni dei nostri dipendenti storici. Essere diventati diventati soci di un’impresa a cui avevano dato anima e corpo, è, secondo me, un modo per renderli partecipi fino in fondo.

Il secondo esempio riguarda una delle nostre acciaierie bresciane, che ha riutilizzato il calore prodotto in azienda per fornire riscaldamento ad alcune famiglie della città di Brescia…

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Oggi si parla tanto di smart working e di home working, anche se la tua esperienza nel contesto siderurgico è particolare rispetto agli “standard” del momento. Come stai vivendo questa trasformazione nella tua azienda e qual è, secondo te, il ruolo dell’etica in ambito tecnologico?

Il Covid-19 ci ha gettati in un’esperienza del tutto nuova in tantissimi settori, dalla didattica a distanza, alle aziende e alla pubblica amministrazione. Nel settore siderurgico l’esperienza è stata eterogenea, perché ci sono aziende che si occupano di produzione, ma non solo. E poi bisogna anche distinguere, rispetto alle aziende, le mansioni diverse. La pandemia, in questo senso, è stata un acceleratore di innovazione. In alcuni settori, ovviamente, ci siamo trovati più preparati che in altri. È fondamentale però guardare al futuro e alla spinta che questi mesi ci hanno imposto.

Randstad Research ha pubblicato recentemente una ricerca, Flexibility@work 2021, proprio dedicata allo smart working, la cui sintesi è che il mondo del lavoro futuro probabilmente sarà integrato, blended, cioè un combinato di attività che si realizzano nelle nostre case, con piena flessibilità di orario e dove contano gli obiettivi, i risultati. Vi sono però anche altre attività, per esempio lo scambio di idee nelle riunioni, che necessitano della presenza. In questo senso il futuro del nostro lavoro, e ora penso anche nella nostra filiera, sarà un combinato tra queste due attività. Personalmente me lo auguro anche in quanto donna, perché potrà essere davvero un modo per conciliare le due cose. Imprenditori e responsabili delle Risorse umane dovranno guidare non solo questi processi innovativi e gli investimenti collegati alla trasformazione digitale, ma anche la formazione continua, per far sì che le persone non smettano mai di aggiornarsi.

Ecco perché in questo futuro integrato la tecnologia è a servizio dell’uomo e non viceversa. Così rispondo un po’ anche alla seconda parte della tua domanda.

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Questo tema dell’integrazione a cui hai accennato, mi fa pensare anche ad un altro risvolto della medaglia: il pericolo di non dare la giusta attenzione alla famiglia quando si è a casa, con il lavoro che incombe. Come hai vissuto questa sfida nella tua esperienza recente di madre?

È vero che se non stiamo attenti lo smart working diventa infinity working. È pur vero però che in questo momento è stato di grande aiuto. Proprio per questa flessibilità di orari legata ai risultati, piuttosto che a un cartellino da timbrare… E non solo per le donne, ma per la maggior parte dei lavoratori e dei giovani.

E poi da figlia, se penso alla mia esperienza, vedere i miei genitori portare avanti una professione è stato un grandissimo esempio.

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Si è concluso da pochi mesi il progetto Parental skill at work sulle qualità che si attivano quando si diventa i genitori. Quali hai sviluppato da quando sei diventata mamma?

Innanzitutto, la quotidianità. Un bimbo ti chiede, giorno per giorno, ora per ora, una semplicità di gesti quotidiani che sto costruendo con passi molto piccoli. È la semplicità negli step, che poi ci porta a grandi risultati anche nelle aziende.

Poi l’organizzazione, la scelta delle priorità, perché non si possono fare dodici cose, ma quattro, a partire dalla più importante. E a me che ero un po’ confusionaria e disorganizzata, la maternità sta insegnando proprio la creazione e la gestione della to do list.

E ancora, la creatività, intesa come ricerca del bello. Mio figlio ha bisogno da un lato di routine, di giornate scandite, però anche di introdurre la novità, di scoprire la lettura di un libro nuovo, o di fare una passeggiata. Questa ricerca del bello, e del nuovo insieme, deve essere parte anche del nostro lavoro quotidiano, perché altrimenti diventa tutti i giorni sempre uguale.

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Un consiglio che, dalla tua esperienza professionale, vuoi dare ai giovani che iniziano in questo momento la ricerca del loro primo impiego…

Puntate sempre in alto e non lasciatevi scoraggiare dalla paura! Io ero spesso bloccata dalla paura, ma ho imparato che ci vuole coraggio, preparazione, determinazione, perché con la tenacia si raggiungono davvero gli obiettivi.

Su questo, ho avuto due esempi molto belli, quello di mio padre e quello di mio fratello, che volevano fare entrambi altre cose nella vita, ma sono riusciti ugualemnte a portare il loro talento nel loro lavoro. Il talento, quello vero che abbiamo dentro di noi, non ci abbandona mai, anche se ci troveramo a svolgere una professione che non è esattamente il sogno della nostra vita. Si tratta di trasformare questo talento in una passione e di cambiare le professioni in cui siamo. Mio padre voleva fare l’insegnante e da un’azienda che vendeva tubi ha creato Siderweb, che oggi è il primo portale in Italia ad offrire news, prezzi, informazioni, consulenza. È rimasto insegnante dentro portando avanti questo progetto.  Mio fratello voleva diventare un musicista rock e ha fondato Siderhub che si occupa di comunicazione nel settore siderurgico. E in questa realtà ha messo la creatività che ha dentro.

A me piacerebbe occuparmi del capitale umano, di formazione nella nostra filiera. Chissà…

Quindi, ai giovani dico, mantenete le vostre passioni. E continuate a nutrirvi di cose belle, di letture che vi arricchiscano, di amici, della famiglia che tutti scegliamo di avere.

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Francesca Morandi

34 anni, bresciana. Si è laureata in Management all’Università Bocconi di Milano, dopo un programma “Exchange” a Montréal, in Canada. Oggi è consigliere d’amministrazione di Morandi Group Srl, holding nel settore siderurgico che, attraverso Morandi Steel Spa, Siderweb e Made in Steel si propone di portare informazione, conoscenza e innovazione nella filiera dell’acciaio. È inoltre Membro del Comitato Scientifico Randstad Research Italia e del programma “Future Leader” di ISPI.

Appassionata di impresa sostenibile, è convinta possa esistere un nuovo paradigma economico più equo e inclusivo: è stata tra i giovani a partecipare all’evento “Economy of Francesco” voluto da Papa Francesco. Ha vissuto due esperienze di volontariato in Africa e nel 2018 ha percorso con Faustino, oggi suo marito, il Cammino di Santiago. Nell’agosto 2020 è nato… Giacomo!