Smartworking: soddisfazione e variabili

Il caso aziendale di Havas Media Group

Mi piacerebbe condividere con voi le ragioni che mi hanno portato a scrivere una tesi sullo smartworking, perché nascono da una situazione che ho vissuto in prima persona e che mi ha colpito particolarmente.

A settembre 2014 mi sono trasferita a Milano per frequentare l’università e sono andata a vivere in un appartamento condiviso con altri tre ragazzi: Cristina, Gianluca e Francesca.

Dopo un paio di mesi in cui ci siamo conosciuti meglio, ho notato la forte insoddisfazione di Cristina verso il suo lavoro: tornava tutte le sere a casa nervosa e stanca. Nervosa, innanzitutto perché non riusciva a realizzarsi in un salto professionale, nonostante l’impegno e i progressi fatti, e poi perché non si sentiva pienamente autonoma nelle attività che svolgeva, dato il forte orientamento al controllo dei suoi responsabili. In più rientrava a casa sempre stanca e spossata, perché l’azienda era distante oltre 50 km e tutti i giorni impiegava più di un’ora d’auto per raggiungerla.

Questa situazione si è protratta fino a giugno 2015, quando Cristina è riuscita a cambiare lavoro. Aveva iniziato una nuova esperienza in un’agenzia media, con sede in centro a Milano, dove ricopriva la stessa posizione che aveva nella precedente azienda.

Da quel momento ho osservato in lei un cambiamento fortissimo: sin dai primi giorni era entusiasta e piena di motivazione verso questa nuova esperienza.

Un giorno accadde qualcosa di strano: la vidi distesa sul divano del nostro appartamento, con il computer sulle gambe e una tazza di thè sul tavolino accanto. In un primo momento pensai che fosse in ferie, ma quando mi resi conto che la scena si ripeteva tutte le settimane, anche se in giorni diversi, la situazione mi insospettì. Allora una sera, dando sfogo alla mia curiosità, mi azzardai a chiederle perché era sempre a casa un giorno a settimana.

È in questo momento che sono venuta a conoscenza dello smartworking. Mi spiegò che la sua nuova azienda dava la possibilità ai propri dipendenti di lavorare da casa un giorno a settimana, con una flessibilità di orario tale per cui poteva cominciare a lavorare alle 7 di mattina oppure alle 11, purché almeno 4 ore del suo lavoro fossero coincidenti con gli orari di ufficio.

Incuriosita da questa pratica, non avendone mai sentito parlare, iniziai a informarmi un po’ di più tramite articoli e casi aziendali.

Questo argomento mi colpì e mi affascinò a tal punto che poi decisi di chiedere al mio professore di Comportamento organizzativo e leadership se fosse possibile approfondire questo tema per un progetto di tesi.

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Nella mia tesi ho voluto analizzare la relazione fra la soddisfazione per il lavoro da remoto da parte dei dipendenti e alcune variabili indipendenti. Nella fattispecie ho ipotizzato l’esistenza di una relazione positiva con il grado di organizzazione degli impegni, il grado di stress, il grado di efficacia e fruibilità dei processi di smartworking. Mentre ho supposto una relazione inversa con il grado di need for achievement, il grado di need for dominance e il grado di need for affiliation.

Dall’analisi empirica effettuata con il supporto del software SPSS su un campione di 98 dipendenti di Havas Media Group sono emerse alcune evidenze interessanti.

La variabile dipendente – la soddisfazione verso lo smartworking – è risultata significativamente correlata con il grado di efficacia e fruibilità dei processi, con il tempo impiegato per il tragitto fra casa e ufficio e con il titolo di studio.

Lo smartworking di per sé è una pratica nuova, cresciuta e sviluppata sempre più in questi ultimi anni (ndr. fino a diventare legge negli ultimi mesi). Come emerge dai risultati riportati alla terza “Giornata del lavoro agile” di Milano (aprile 2016), sempre più aziende private, ma anche enti pubblici, si stanno affacciando allo smartworking. Se nel 2014 erano 146 le sedi coinvolte, nel 2015 si è passati a 291, fino ad arrivare alle 502 sedi nel 2016, con un numero di smartworkers coinvolti pari a 9.670.

Quello che si può senza dubbio affermare è che lo smartworking si configura come un accordo che datore e dipendente possono stipulare in maniera discrezionale e che si caratterizza per essere volontario, reversibile e flessibile.

Le aziende che decidono di implementare queste pratiche all’interno dei propri contesti devono predisporre un regolamento interno o comunque formalizzare un documento dove vengono delineate tutte le caratteristiche e i vincoli connessi a questa opportunità offerta. Essendo un accordo privato fra le parti, è fondamentale, per garantire l’efficacia nell’implementazione della pratica e quindi anche la soddisfazione del dipendente, la massima chiarezza e comprensione circa le caratteristiche di questo strumento di work-life balance (Deeprose, 1999). Se i dipendenti hanno ben compreso il regolamento esplicativo di tutte le procedure e i processi avranno maggiore consapevolezza di come agire, ne usufruiranno nel rispetto delle regole e ne trarranno maggior beneficio (Davenport e Pearlson 1998).

È dunque importante che le risorse umane delle aziende, dove si implementano tali pratiche, dedichino particolare attenzione alla stesura delle regole di applicazione. Sarà necessaria un’esplicitazione chiara delle stesse, in modo da evitare qualunque dubbio o incertezza in merito, ma sarà anche necessario mettere a disposizione delle risorse adeguati strumenti tecnologici per usufruire del lavoro da remoto (Clear e Dickson, 2005). Proprio a questo proposito, si possono citare Deeprose (1999) e Mann et al. (2000) i quali affermano che la mancanza di supporto tecnico contribuisce alla riduzione della soddisfazione degli smartworkers e all’aumento del loro grado di stress.

Un altro elemento interessante da prendere in considerazione è rappresentato dalla significatività di due variabili che sono state inserite nel modello come controlli: il tempo impiegato per il percorso casa-ufficio e il titolo di studio.

Il tempo di viaggio che le risorse spendono per arrivare in azienda è risultato significativamente e positivamente correlato con la soddisfazione verso la pratica. Questa evidenza mette in risalto come le risorse avvertano effettivamente dei vantaggi in termini di soddisfazione, tanto più il viaggio che devono sostenere per arrivare in ufficio è lungo (Ravas, 2013). È interessante notare come, seppur solo per un giorno a settimana o per un pomeriggio di lavoro da remoto, le risorse ne percepiscano un aumento di soddisfazione. Questo significa che la riduzione del tempo di viaggio è una variabile che per i dipendenti risulta rilevante (Siha e Monroe, 2006).

Le possibili ragioni collegate a questa percezione potrebbero essere riconducibili alla riduzione dello stress derivante dall’uso dei mezzi pubblici o privati in momenti di traffico, alla possibilità di svegliarsi più tardi non dovendo andare in ufficio o al risparmio economico che risulta più alto in caso di distanze kilometriche maggiori.

Per quei dipendenti che devono sostenere tragitti più lunghi, risparmiare anche soltanto due ore a settimana di viaggio, è importante perché consente loro di poter destinare le ore guadagnate ad altre attività, come la cura della propria famiglia, gli hobby, le commissioni, le visite mediche (cfr. risultati emersi dalla Terza giornata del lavoro agile di Milano, 2016).

Ulteriore evidenza che si può trarre dai risultati della ricerca è l’esistenza di una relazione inversa fra il titolo di studio e la variabile dipendente. Se le risorse sono più istruite risultano più soddisfatte, si ipotizza che questo accada nel breve termine, poiché persone con un livello di studio più elevato potrebbero ambire a forme di autonomia maggiore, come quelle del lavoro da remoto, esempio di fiducia e forma di responsabilizzazione. Quelle con un grado di istruzione inferiore potrebbero essere scettiche nei confronti della pratica o non conoscerla a fondo. Nel lungo termine è molto probabile che possa presentarsi un allineamento anche da parte delle risorse con un grado di istruzione inferiore.

La relazione, invece, fra i personality needs di McClelland (need for achievement, need for dominance e need for affiliation) e la soddisfazione per lo smartworking non è risultata significativa. Quello che se ne deduce è che la mancata relazione sia dovuta alle caratteristiche peculiari dello smartworking.

Il lavoro da remoto, infatti, seppur avendo origine nel telelavoro rimane comunque un fenomeno con caratteristiche differenti. Quando si parla di telelavoro si fa riferimento ad una pratica che implica un lavoro costantemente svolto da luoghi diversi rispetto all’ufficio e che quindi effettivamente potrebbe portare ad un allontanamento dalle logiche di gruppo, a una riduzione delle interazioni con i colleghi e ad un isolamento (Conner, 2003). Così come, lavorando sempre da remoto, è più probabile che si percepisca una difficoltà da parte dei responsabili a controllare l’operato dei propri collaboratori.

Anche il need for achievement della risorsa potrebbe risentirne poiché, come già detto, si ridurrebbero le situazioni per mettere in mostra i propri successi e diminuirebbero anche le occasioni per ricevere feedback dai propri colleghi/responsabili (Horwitz et al., 2006).

Lo smartworking di HMG e di tante altre aziende che si sono affacciate a questa pratica, invece, rappresenta la possibilità di lavorare da casa o da qualsiasi altra postazione diversa da quella d’ufficio per un numero finito di volte al mese (a seconda dei regolamenti interni delle aziende) in una logica “orizzontale”.

La presenza di un regolamento interno che definisca il numero massimo di giornate in cui le risorse possono lavorare da remoto aumenta la probabilità che gli smartworkers non percepiscano effettivamente un allontanamento dal posto di lavoro e quindi non sentano ripercussioni sul loro livello di soddisfazione verso la pratica.

Dunque, seppur risorse caratterizzate da un elevato need for achievement, need for dominance o need for affiliation, il vincolo quantitativo nella frequenza potrebbe aver determinato la mancata correlazione significativa e il ridotto valore dell’adjusted R Square.

Si può inoltre supporre che non venga percepita una riduzione di soddisfazione anche perché i sistemi tecnologici (pc portatile, chat aziendale, rete VPN, applicativo telefonico) garantiscono un contatto diretto con i colleghi e l’accesso a tutte le informazioni e i dati aziendali (Daniels et al., 2001).

Non è risultata significativa neppure la relazione fra il grado di organizzazione degli impegni e il grado di stress delle risorse con la soddisfazione verso la pratica. Quello che si potrebbe ipotizzare è che le persone coinvolte nell’iniziativa dello smartworking risultano essere lavoratori che tendenzialmente hanno già un grado di organizzazione abbastanza soddisfacente nella ripartizione del loro tempo tra famiglia e lavoro.

La soddisfazione per lo smartworking potrebbe quindi prescindere dalla capacità di auto-organizzazione dei lavoratori. Probabilmente anche perché le risorse possono decidere quando usufruire della giornata di lavoro da remoto (previa autorizzazione del proprio responsabile) e possono quindi organizzarsi con anticipo.

Un’altra spiegazione a supporto potrebbe essere riconducibile al fatto che le risorse (non responsabili) hanno un insieme di attività ricorrenti che possono svolgere durante i giorni di smartworking e quindi questo potrebbe ridurre la loro discrezionalità nel decidere cosa fare da remoto e di conseguenza la necessità di organizzazione dei propri impegni.

Anche per quanto riguarda lo stress, si può ipotizzare che la mancata significatività della relazione sia influenzata dalle specifiche caratteristiche del lavoro agile.

In letteratura ci sono evidenze contrastanti circa il reale effetto di riduzione dello stress. Horwitz et al. (2006) asseriscono che il lavoro da remoto potrebbe creare maggiori conflitti a livello familiare o personale, mentre Ahmadi et al. (2000) ne sottolineano le implicazioni positive.

In ogni caso l’ambiente lavorativo di Havas Media Group, per esperienza diretta, è coinvolgente, stimolante e amichevole. Allontanarsi da questo, quindi, non sembra possa essere indice di riduzione dello stress.

 

di Serena Bettarelli

vincitrice della IV edizione del Premio Marco Vigorelli