Dal lavoro che “non c’è” a quello che si può “creare”
FMV ha conosciuto qualche anno fa Farsi Prossimo Onlus, una cooperativa sociale nata nei primi anni Novanta e promossa nell’ambito delle attività della Caritas Ambrosiana. Operando nell’ambito territoriale della Diocesi di Milano, Farsi Prossimo Onlus porta avanti l’obiettivo di perseguire lo sviluppo integrale dell’uomo, l’integrazione sociale e la cura di soggetti deboli, attraverso la gestione di servizi socio-educativi. Tali servizi, se da un lato testimoniano la possibilità reale di prendersi cura del bisogno anche quando questo è nuovo, sconosciuto e problematico, dall’altro favoriscono altresì la definizione di un modello d’intervento sociale efficace, attento alla globalità della persona, innovativo e coinvolgente per il territorio.
Oggi la Cooperativa è impegnata nelle seguenti aree di intervento: Donne vittime della tratta; Stranieri: Centri di accoglienza e Seconda accoglienza; Grave Emarginazione; Minori, famiglia e territorio; Minori e famiglia residenziale; Laboratori; Collaborazioni: Aree di bisogno Caritas Ambrosiana.
I progetti a sostegno dell’inserimento lavorativo e dell’integrazione sono quelli che colpiscono maggiormente. Su questi FMV ha intervistato Rocco Festa, vicepresidente di Farsi Prossimo Onlus.
Di seguito riportiamo l’intervista.
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FMV: Un luogo comune in tema di immigrazione è che i migranti facciano aumentare la disoccupazione. Qual è il suo pensiero in merito?
RF: È sicuramente un luogo comune dettato da scarsa informazione e strumentalizzazione.
Per quanto riguarda i profughi e le persone che fanno domanda di asilo, queste seguono un percorso di integrazione specifico. C’è da sottolineare che la situazione complessiva italiana non è agevole per nessuno. I profughi nei primi due mesi dalla richiesta di asilo non possono lavorare. Successivamente si cerca di sostenerli nell’inserimento lavorativo, ma solo dopo l’apprendimento della lingua, che in genere non si impara in poco tempo, soprattutto perché oggi le persone che si trovano in questa condizione risultano essere anche analfabeti nella propria lingua di origine.
Affermare che siano i profughi a “rubare” il lavoro ai nostri giovani è tutto da dimostrare. E vale la pena puntualizzare che esistono dati ufficiali che esplicitano come negli ultimi anni le persone che hanno fatto richiesta di asilo risultino di numero inferiore rispetto ai giovani italiani che hanno lasciato l’Italia per cercare lavoro in altri paesi europei.
FMV: Mai come ora, al di là sei servizi di prima accoglienza per gli immigrati, si pensa al tema dell’inserimento lavorativo. La vostra è una sfida impegnativa. Come la affrontate? E quali sono i principali progetti che state portando avanti in quest’area di intervento?
RF: L’inserimento lavorativo fa parte di un progetto di integrazione articolato e complesso (sia se si fa riferimento a tutto l’aspetto documentale, sia se si considera nell’ottica del problema della lingua) che spesso porta via buona parte del tempo nei sistemi di accoglienza.
Una volta acquisite queste prime competenze, per portare avanti l’inserimento ci avvaliamo del supporto delle risorse del territorio, come ad esempio corsi professionalizzanti e tirocini lavorativi che permettono alla persona di acquisire competenze e specializzazioni da spendere nell’ambito formativo prescelto.
Il tirocinio lavorativo può trasformarsi in un’assunzione o concludersi come sola esperienza formativa che verrà inserita nel curriculum della persona.
A questo modello, che in genere prediligiamo tra le nostre attività, si affiancano anche sperimentazioni a titolo maggiormente laboratoriale. È il caso del progetto M’Ama Food, un servizio di catering che nasce dalla volontà di sostenere le donne rifugiate – straniere perseguitate, maltrattate o fuggite da paesi in guerra – ospiti con i propri figli al Centro di accoglienza del comune di Milano di via Sammartini. All’interno del Centro, dal 2010 è attivo un laboratorio di Cucina che punta a favorire l’integrazione di queste donne e che si è trasformato nel 2012 in una vera e propria attività imprenditoriale di catering solidale.
L’altra esperienza che stiamo portando avanti, insieme alla Fondazione Marco Vigorelli, è quella della creazione di un vero e proprio “orto prossimo”, dove i partecipanti si sperimentano e acquisiscono le prime competenze in ambito agricolo. Grazie alla partnership con diverse aziende agricole l’esperienza potrà essere propedeutica a percorsi di inserimento lavorativo.
In genere, proviamo a gestire in varie iniziative quello che gli ospiti ci esprimono come bisogno.
FMV: Lavoro e della famiglia sono gli obiettivi maggiormente al centro delle vostre aree di intervento. In cosa dobbiamo ancora migliorare e in cosa invece stiamo andando avanti bene, anche in ottica europea su questi temi?
RF: L’attenzione ai temi del lavoro e della famiglia apre a diverse riflessioni sia a livello nazionale che europeo di cui tutti dovremmo farci promotori. Penso soprattutto alla reale costituzione di reti che favoriscano i percorsi di inclusione e integrazione. Quando diciamo che noi, come cooperativa, sosteniamo una famiglia lavoriamo in questa direzione. Ad esempio, nel caso di un nucleo di tipo monoparentale, la madre che deve lavorare per sostenere il proprio figlio incontra un contesto lavorativo molto difficoltoso, sia per orari che per condizioni. Spesso è costretta a non accettare un impiego perché non ha nessuno a cui lasciare il proprio bambino. In questi casi, ci dobbiamo chiedere che tipo di tutela e di sostegno possiamo dare, tanto per un nucleo straniero quanto per uno italiano, e quali sono i servizi che, come istituzioni (o come realtà private, cooperative e politiche), riusciamo a mettere in campo.
Oggi si parla di “fare rete”. Fare rete significa trovare soluzioni, ragionare e riflettere su bisogni e comprendere in che modo riuscire a rispondere al meglio.
FMV: Come Terzo settore, vi sentite abbastanza sostenuti dalle istituzioni in questo particolare momento storico?
RF: Stiamo cercando di collaborare il più possibile, anche se si sta facendo fatica ad avere uno sguardo approfondito sul tema del flusso continuo dei migranti. Soprattutto perché non si riesce ad abbandonare l’ottica emergenziale, che risulta quanto mai impropria. L’impegno più gravoso è fermarsi per cercare di costruire un modello a lungo termine che sia capace di rispondere ai bisogni di prima accoglienza e poi di integrazione al mondo del lavoro e dell’inclusione sociale. La risposta che riusciamo ad offrire ha un carattere di immediatezza senza uno spazio per un pensiero che sappia guardare anche oltre.
FMV: Le nuove generazioni possono e devono dare un contributo importante in ottica immigrazione. Ci sono iniziative concrete che state portando avanti sulla formazione dei giovani?
RF: Certamente. Siamo impegnati soprattutto in interventi di sensibilizzazione nelle scuole: ad esempio, al Centro Come è attivo un servizio che mette in atto azioni per entrare nei territori e nelle scuole.
A questa si aggiungono iniziative di accoglienza diffusa, soprattutto nelle parrocchie, grazie anche al legame con la Caritas Ambrosiana, con l’intento di informare e di fornire agli interessati, che spesso desiderano diventare volontari, gli strumenti corretti.
Nell’anima della cooperazione la formazione è un valore aggiunto che riteniamo indispensabile per rendere efficace e duraturo il nostro lavoro sul territorio.
FMV: Quanto nella vostra realtà sono importanti i volontari?
RF: Sono importanti, ovviamente non fondamentali. Sono gli operatori professionali che occupano un ruolo di fondamentale importanza nella cura, assistenza e garanzia dei percorsi di integrazione dei profughi. È a loro che possono essere affiancate le figure di volontariato, ma sulle quali non si possono basare i servizi perché il rischio, se mancano le competenze, pur nella bontà dell’operato, è quello di creare ulteriori disagi.
FMV: Ma l’Europa ha davvero bisogno dei migranti?
RF: Difficile rispondere a questa domanda. Di sicuro mi sento di dire che l’Europa deve prendere atto del fatto che si deve confrontare con i migranti, che rappresentano una realtà – costante, in aumento e con la quale dobbiamo fare i conti – e non un dato emergenziale. Facile dire che dovremmo aiutare i migranti nel loro paese di origine; in realtà non dobbiamo dimenticare che ci siamo impegnati a sostenere un mondo senza confini. Siamo migranti e accogliamo migranti: la storia ce lo insegna. Non si tratta di aver bisogno dei migranti, ma di prendere atto di un fenomeno non transitorio con cui imparare a confrontarsi.