Rendere consapevoli: è questo un grande pregio del libro Maam. La maternità è un master di Andrea Vitullo e Riccarda Zezza pubblicato per BUR.
Recensione ad Andrea Vitullo e Riccarda Zezza, Maam La maternità è un master che rende più forti uomini e donne, BUR, 2014.
Tutte le mamme e i papà fanno esperienza che diventare genitore aumenta molte capacità personali e fa crescere, attuando un cambiamento radicale e importante. Essere consapevoli che questo cambiamento è un’occasione straordinaria di crescita anche per la vita professionale è il messaggio rivoluzionario del libro.
Nell’attuale mondo del lavoro l’esperienza della maternità è vissuta come un peso dalle aziende (si pensi alle “costose” misure di conciliazione lavoro famiglia), come un momento di arresto nella crescita professionale in cui la donna può rischiare di rimanere troppo indietro, danneggiando il possibile rientro nel mondo del lavoro. Anche per questo motivo le donne oggi rinviano l’esperienza della maternità a causa di fattori quali l’attesa di un avanzamento di carriera, traguardi economici da raggiungere, ecc. Sono note le statistiche sul ricambio generazionale che vede l’Italia tra i Paesi con il più basso livello di natalità dei Paesi europei (1,39 figli per donna nel 2013[1]).
Il mondo del lavoro oggi, però, è in crisi e necessita di un cambiamento profondo e radicale per essere un mondo che crea opportunità per l’uomo e la donna. Il modo di lavorare deve cambiare, le regole del gioco devono essere riviste. E proprio di questo cambiamento parla il libro che vede nelle competenze genitoriali le competenze per una nuova leadership e nella maternità una palestra naturale dove imparare ad esercitarla.
Nel libro vengono presentati alcuni studi che evidenziano come la maternità o esperienze di cura significative siano momenti di crescita intellettiva, di aumento di energia fisica e mentale che permettono un vero e proprio cambiamento della persona[2]. Durante la maternità si sviluppano quelle competenze oggi tanto richieste nel mondo del lavoro: adattamento al cambiamento, capacità di ascolto e di motivazione, rapidità di scelta, gestione delle difficoltà, capacità relazionali ed empatia, gestione del rischio e della complessità e molte altre. Il problema però sembra quello del passaggio ad ambiti differenti. Se è vero, ad esempio, che la mamma acquista competenze motivazionali aiutando il suo piccolo ad imparare a camminare, andare in bicicletta, contare e scrivere, è difficile capire come questa competenza la aiuti a motivare un collega a raggiungere gli obiettivi di budget imposti da un determinato progetto. Le competenze acquisite durante la maternità sembrano essere fissate nel mondo della casa, in un mondo privato e personale legato alla cura e lontano dall’ufficio e dall’azienda. E così vediamo mamme che al rientro della maternità vengono sottoposte a corsi di aggiornamento in «scuole di business che insegnano la leadership attraverso le più svariate esperienze, dall’addestramento delle balene ai percorsi di sopravvivenza, dai corsi di cucina ai simulatori di volo, ignorando completamente la più istruttiva e vitale delle esperienze di leadership: quella di chi deve curare, far crescere e rendere forte un altro essere umano»[3].
Ma come riuscire a riportare le competenze acquisite durante l’esperienza di cura sul posto di lavoro? La risposta secondo gli autori sta nella transilienza. «Alla base di questo libro c’è l’idea di una strada a due direzioni di marcia: dalla vita al lavoro, dal lavoro alla vita. Vi scorrono competenze, energie, risorse emotive. […] Noi abbiamo chiamato questa capacità “transilienza”: una metacompetenza che permette alle competenze e alle energie di fluire da una parte all’altra della vita»[4]. La maternità permette di allenarsi tutti i giorni su alcune competenze che rendono leader naturale non solo a casa, ma anche al lavoro. Un leader però nuovo, lontano dalle logiche del potere, del successo e del primeggiare, un leader invece capace di far crescere nuove guide, di far vincere tutti, di creare alleanze, di generare nuova forza. Il nuovo modello di leadership delineato dagli autori è un modello di leadership generativa dove termini come desiderio, amore, abbondanza, riconciliazione sono termini non solo propri di una sfera privata ma anche lavorativa: «l’estraneità dell’amore al lavoro, all’ufficio è un’altra gabbia, un tabù che è necessario abbattere. […] Essere una guida amorevole significa dunque essere colui o colei che sa vedere il meglio degli altri, che sa potenziare le qualità migliori di ciascuno, che sa far nascere una persona al meglio di se stessa». Ad esercitare questa leadership siamo invitati per poter cambiare i contesti attuali lavorativi: «non è possibile generare abbondanza di profitto, di relazioni, di saggezza, di dono, di sostenibilità, di comportamenti etici e di comunità se continuiamo a essere così stanchi, prostrati, affannati, sempre di corsa e stressati. C’è un disperato bisogno di generare qualcosa di nuovo e più creativo per ricostruire il mondo a partire da nuove categorie, da nuove metafore, da nuovi strumenti»[5]. La maternità è vista da Vitullo e Zezza come una delle esperienze più potenti nell’insegnarci ad essere generativi grazie all’attitudine alla cura, al dare, al perdonare, al far crescere: «la generatività è data dalla cura, dalla vicinanza, dall’affinità tra soggetti e progetti. È quell’attenzione speciale e focalizzata che si riserva a chi e a cosa decidiamo di ascoltare, di promuovere e di amare. È il desiderio di dare vita, di far uscire nel mondo qualcosa che ci trascenda. Frutto di attenzioni e gesti, cure e sguardi energetici e calorosi, la cura, secondo l’etimologia latina, forse fantasiosa, ma antica e illuminante, ha la sua radice (e la sua essenza) in “cor urat”, ciò che “scalda il cuore”. La cura potrebbe sembrare una metafora molto distante dalla vita organizzativa. Dalle organizzazioni, dalle comunità orientate al prodotto, al servizio, al profitto. Eppure oggi è un disperato bisogno di allenare anche nel pubblico, nel mercato, nella vita aziendale e sociale, competenze un tempo relegate al privato con una matrice di tipo femminile»[6].
Ma Maam è un libro solo per donne? No, anche l’uomo ha il suo spazio. L’ultimo capitolo è dedicato a lui, all’uomo nuovo, all’uomo che desidera uscire dallo stereotipo del padre che non c’è, che è in giro per il mondo a lavorare lontano dalla famiglia. Secondo la ricerca previsionale Gender Diversity 2020, realizzata da Bosch TEC, Carter & Benson e S3.Studium, ideata da Domenico De Masi e diretta da Stefano Palumbo che gli autori citano, in Italia la revisione dei valori porterà gli uomini all’accettazione della complementarietà dei ruoli familiari. «Si prevede che saranno sempre di più gli uomini ad assumersi responsabilità nella gestione dei figli e anziani, ed è dunque sicuro che aumenteranno le competenze dei padri nella gestione dei figli. E se i padri fanno i padri e sono presenti e attivi nell’esercizio della paternità, i bambini sono più felici: proprio da qui deve partire la battaglia per demolire alcuni perniciosi stereotipi»[7].
Dopo aver letto Maam, si guarda alle mamme e ai papà in modo nuovo. Si cambia l’immagine di leader.
di Benedetta Albertazzi
Ufficio Collegi, Fondazione RUI
[1] Cfr. Piano Nazionale per la Fertilità, Ministero della Salute, maggio2015, p. 2.
[2] C. H. Kinsley, K. G. Lambert, The Maternal Brain, Scietific American, 2006.
[3] A. Vitullo, R.Zezza, Maam. La maternità è un master, Bur, 2014, p. 33.
[4] Ivi, p. 52.
[5] Ivi, p. 132.
[6] Ivi, p. 156.
[7] Ivi, p. 175.