Grazie ad un’intervista a Francesco Pacileo, vogliamo suscitare alcune riflessioni sul soggetto “famiglia”, osservato da punti di vista diversi, nella direzione degli obiettivi di sostenibilità e del futuro dell’educazione.
Tu parli spesso di famiglia vulnerabile. A che cosa ti riferisci quando usi questo termine?
Innanzitutto, vale la pena precisare che non esiste una definizione unica e scientifica di famiglia vulnerabile, così come non esiste un parametro certo di quella che può essere la soglia di povertà. Sono tutti concetti un po’ scivolosi e opinabili, anche se molto attuali.
Una definizione grossolana di famiglia vulnerabile è quella di una famiglia che si trova al di sopra della soglia di povertà, in qualche modo inserita nel tessuto sociale e che di fronte ad un imprevisto (ndr. non è necessario che sia una tragedia, può anche essere una sanzione amministrativa di una certa rilevanza o un pagamento inaspettato da fare), può finire al di sotto della soglia di povertà.
Poi bisogna capire di che tipo di vulnerabilità stiamo parlando: perché ci può essere una vulnerabilità finanziaria, una sociale, una economica.
Pensando alla situazione attuale che stiamo vivendo, in cui il sovraindebitamento fa i conti proprio con la vulnerabilità della famiglia, qual è il rapporto che li caratterizza?
Il sovraindebitamento è (anche) un istituto giuridico disciplinato dalla l. n. 3/2012 volto a porre rimedio alla crisi o all’insolvenza del debitore non fallibile, mediante la ristrutturazione dei debiti o la liquidazione ordinata del patrimonio e l’esdebitazione, utilizzando la tecnica delle procedure concorsuali. Il sovraindebitamento è stato concepito per tutelare la dignità del debitore e della sua famiglia, in un momento di vulnerabilità, e per impedire il suo scivolamento al di sotto della soglia di povertà.
Tuttavia l’elaborazione giurisprudenziale e l’evoluzione dell’ordinamento giuridico rischiano di emarginare la famiglia vulnerabile dal beneficio di questo istituto.
Proprio uno dei parametri usati comunemente per valutare la vulnerabilità della famiglia è quello che tiene conto del rapporto tra indebitamento e reddito disponibile. Se l’indebitamento supera il 30% del reddito disponibile – nel caso in cui il reddito disponibile sia inferiore al valore mediano della distribuzione – questo è il parametro più seguito come indice di vulnerabilità.
In un’indagine abbastanza recente della Banca d’Italia è stato calcolato che almeno l’11% delle famiglie italiane può considerarsi vulnerabile.
Ma gli indici che possono essere considerati sono diversi: ad esempio, c’è quello che considera una famiglia con risorse patrimoniali sufficienti per soddisfare il proprio indebitamento, la quale però non dispone di beni agevolmente liquidabili (ndr. per esempio, ha una prima casa, ma di fronte ad un imprevisto corre il rischio di doverla vendere per rimettersi in sesto). Se questa famiglia non dispone di redditi tali da evitare entro tre mesi di scendere al di sotto della soglia di povertà relativa, può considerarsi in condizione di povertà finanziaria. Sempre per la Banca d’Italia il 44% delle famiglie italiane può trovarsi in questa situazione. E questa è un’indagine che è stata fatta prima della crisi pandemica. Ma quanti “incidenti” possono essere capitati in questi nove mesi di crisi: negozi chiusi, lockdown, cassa integrazione, perdita del lavoro…? Tutti questi numeri, che già erano “interessanti” prima dell’emergenza del Covid-19, sono destinati a salire in maniera impressionante.
A chi spetta il compito più grande oggi nel contrastare la vulnerabilità della famiglia?
Dico cose ovvie se cito innanzitutto le istituzioni, a partire dalla politica, dal parlamento, dal governo, che devono focalizzarsi su una serie di problemi e criticità reali. In parte viene fatto, ma c’è tanto ancora da fare.
Un contributo può darlo anche il Terzo settore; sto pensando ad esempio al social housing, a mercati solidali che offrono prodotti di qualità selezionati a persone che hanno problemi di reddito.
E poi ci sono le banche. I criteri che utilizzano le banche per valutare il merito di credito, ad esempio, sono parametri che si avvicinano molto ai criteri con cui si individua la famiglia vulnerabile che, in quanto tale, non sarebbe meritevole di credito. Prima facevo cenno al rischio di emarginare la famiglia vulnerabile dalla tutela del sovraindebitamento. La famiglia vulnerabile dovrebbe essere la prima formazione sociale ad essere tutelata dal sovraindebitamento. Al contrario rischia di essere estromessa dall’ausilio di alcuni strumenti più efficaci, come per esempio il piano del consumatore e l’esdebitazione. Ciò perché, da un lato, alcune pronunce giurisprudenziali non riconoscono i requisiti di “meritevolezza” a chi si indebita nelle condizioni di vulnerabilità (ma pensate a una famiglia con un figlio malato a carico che chiede più finanziamenti nel tempo, con l’aggravarsi della malattia!); dall’altro, il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza – che presto riformerà la disciplina del sovraindebitamento – sanziona il finanziatore che ha colposamente concesso credito senza valutare correttamente il merito di credito del debitore, ma ciò paradossalmente rischia di estromettere definitivamente la famiglia vulnerabile dal circuito bancario.
Dal punto di vista giuridico bisognerebbe ricostruire o immaginare ex novo una normativa che tuteli proprio il “soggetto non bancabile” e la sua famiglia, favorendone l’inclusione finanziaria e sociale o, in altri termini, l’empowerment ancor prima che l’assistenza. Già oggi ci sono degli strumenti che possono funzionare, come per esempio il microcredito, i Confidi, i vari fondi anti-usura o per l’acquisto della prima casa, i PIR (prestiti ipotecari vitalizi), ma c’è tanto altro che potrebbe aiutare chi si trova in difficoltà finanziaria. Bisognerebbe “mettere a sistema” le varie normative esistenti, oltre che migliorarle, forse pensando ad un codice ad hoc, e ciò anche al fine di far conoscere meglio ai soggetti sovraindebitati e agli addetti ai lavori i rimedi possibili.
Sostenibilità e vulnerabilità: che rapporto c’è tra questi due termini in relazione alla famiglia?
Il tema della vulnerabilità, alla luce di quello della sostenibilità, può essere addirittura capovolto.
Per ricollegare questa risposta alla domanda precedente, anche le società for profit possono dare un grande contributo. In Italia, per esempio, c’è anche la qualifica di società benefit, che può dare visibilità alle società attente alla Corporate Social Responsibility.
Il rapporto tra sostenibilità e vulnerabilità delle famiglie è un tema sia per il Terzo settore che per le aziende, ma è un tema che, soprattutto a livello di sviluppo di determinati mercati finanziari, ha dei margini enormi di evoluzione nei prossimi anni. Questo perché si sta sviluppando un grandissimo interesse da parte dei grandi e piccoli investitori per il tema “sostenibilità”, che è ovviamente un termine molto ampio, da rileggere non solo in ottica ambientale, ma anche sociale e con riferimento anche alle problematiche della famiglia vulnerabile. Penso allora alle potenzialità dei social bond nonché dei “titoli di solidarietà” disciplinati dal Codice del Terzo Settore, laddove favoriscano investimenti tesi a risolvere tali problematiche. Penso soprattutto alle “informazioni di carattere non finanziario” che le più importanti società pubblicano insieme al bilancio e che, a mio avviso, sono destinate in prospettiva a divenire un fattore cruciale di successo delle imprese. Tutto ciò sta favorendo lo sviluppo sempre più ampio di una vera e propria economia sociale, che in qualche modo si affianca al capitalismo classico.
Qual è il ruolo della famiglia in azienda? E perché le aziende dovrebbero interessarsi di famiglia oggi?
Intanto, secondo me, la famiglia è un propulsore di energia vitale e positiva. Un individuo protetto dalla propria famiglia e felice nel proprio contesto famigliare è enormemente più forte, produttivo, nel senso positivo del termine. Potremmo dire che un lavoratore felice è molto più bravo, a parità di condizione, di un lavoratore infelice.
Quello della felicità non è un termine banale, ma può dare un senso diverso ai nostri giorni e si trova certamente con l’aiuto della famiglia. Ad esempio, se pensiamo al rapporto famiglia-lavoro, un lavoratore in equilibrio lavorerà bene e si troverà bene con i propri colleghi e avrà anche maggior voglia di mettersi a disposizione dell’azienda senza sentirsi forzato nel sottrarre tempi di vita privata.
Nel parametro ESG, tra i goal vi è proprio questo: cercare di trovare un equilibrio tra produttività, inclusione sociale, dignità dei lavoratori e vita in famiglia. Un’azienda che promuove anche all’esterno un’immagine di sé di società attenta al benessere dei propri lavoratori, promuove una sfida produttiva vincente che ha un plurimo risultato: attrarre lavoratori di maggiore qualità; pubblicizzare la propria offerta sul mercato e posizionarsi con un rating più elevato su particolari mercati finanziari e con determinati investitori.
Insomma, è un circolo virtuoso. E un’azienda che oggi vuol rimanere al passo con i tempi deve avere come uno dei suoi principali obiettivi quello di promuovere il benessere dei propri lavoratori in azienda e con la propria famiglia. Ciò determinerebbe una vera e propria creazione di valore, del c.d. blended value che include redditività e sostenibilità, e che, come detto, può essere “contabilizzato” nelle informazioni non finanziarie ed essere impiegato per attrarre finanza etica e investimenti socialmente responsabili.
E di questo valore, più importante del profitto immediato, vi è traccia nel Testo Unico dell’intermediazione finanziaria e nel Codice di autodisciplina delle società quotate, che promuovono espressamente, per queste società, la creazione di valore nel lungo periodo.
Cosa significa ripensare tutto questo nell’ottica dell’educazione? Che cosa cerchi di trasmettere maggiormente ai tuoi studenti di tutti questi temi?
L’università deve indirizzare i giovani al lavoro. La cosa fondamentale per me è che se parliamo di educazione lavorativa dobbiamo promuovere una logica di lavoro di squadra, perché la vera forza si fa aiutandosi l’un l’altro, il che è l’opposto della competitività legata ad una logica di profitto bieco, un meccanismo che porta all’autodistruzione di sé e dell’azienda. Anche se la competizione ci può stare, purché sia sana.
E poi l’importanza di incrementare l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, in gruppi in cui ci siano uomini e donne insieme, perché la diversità di genere, così come quella di età, aiuta a lavorare meglio. Pure la diversità di genere, peraltro, è espressamente promossa dal Testo Unico dell’intermediazione finanziaria, nell’ambito della composizione degli uffici di corporate governance delle società quotate.
Francesco Pacileo è Ricercatore di Diritto Commerciale (Sapienza Università di Roma) e avvocato iscritto all’elenco speciale dei Professori Universitari del COA di Roma.