di Marco Vigorelli e Maurizio Cortese
Articolo apparso in «Bancaria», anno 53, n. 6, 1997, pp. 62-71
I problemi finanziari che affliggono le medie imprese – peso degli oneri finanziari, frammentazione dei rapporti di affidamento, alta dipendenza dal sistema bancario – suggeriscono di adottare soluzioni strategiche idonee a raggiungere condizioni di efficienza e redditività. Un’ipotesi percorribile può consistere nell’outsourcing della funzione finanza a un soggetto terzo (tipicamente una banca), il Local financial network, specializzato nel corporate finance. Ciò comporterebbe indubbi vantaggi sia per le banche (incremento del margine da servizi, utilizzo completo delle infrastrutture, proporzionalità tra rischi assunti e condizioni applicate), che per le imprese che potrebbero assicurarsi il raggiungimento di obiettivi di efficienza, professionalità e riduzione dei costi.
1. Premessa
Le medie imprese italiane rappresentano con ogni probabilità il settore più vitale e redditizio dell’economia del paese. Esse presentano tuttavia sotto il profilo finanziario alcune lacune che ne pongono in seria discussione la competitività sui mercati internazionali, caratterizzati da un livello di concorrenza sempre più qualificata ed eterogenea. Ampia è la letteratura che ha evidenziato i problemi che affliggono la funzione finanza delle medie imprese: le maggiori difficoltà derivano da un eccessivo peso degli oneri finanziari, dallo sbilanciamento delle fonti di indebitamento verso il breve termine, dall’alta dipendenza nei confronti del sistema bancario, dalla frammentazione dei rapporti di affidamento (pluriaffidamento).
I gap delineati sembrano sostanzialmente essere originati da una non adeguata comprensione dell’importanza operativa e strategica della funzione finanza: presso le medie imprese, infatti, la risoluzione dei problemi finanziari e la (non) pianificazione dei flussi e dei fabbisogni futuri è affidata molto spesso a un direttore amministrativo o contabile, quando non addirittura all’imprenditore o al manager stesso. In entrambi i casi le risorse dedicate non sembrano avere la preparazione e il tempo sufficienti per farsi carico e gestire in modo ottimale l’area finanza, sia nel breve che nel lungo periodo.
Risulta strategicamente interessante l’idea di affidare, come già successo in vari altri settori dell’impresa, a un soggetto terzo (outsourcing) la gestione di alcune delle componenti che formano la funzione finanza di un’azienda (o di un pool di aziende). Questo soggetto, denominato Local financial network, è un’unità organizzativa specializzata nel campo del corporate finance e dotata di professionalità dedicate: viene incaricato da un pool di medie imprese di gestire ogni loro flusso finanziario in entrata o in uscita, di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di redditività, sviluppo finanziari o e copertura dei rischi.
2. La finanza nelle medie imprese
Le medie imprese sono attualmente, ma anche storicamente, caratterizzate da un tipo di struttura finanziaria che in rari casi raggiunge condizioni di efficienza e di redditività. Uno sguardo ana litico sui dati [1] relativi a 507 società di medie dimensioni [2] relativamente all’anno 1995, raccolti nell’omonima ricerca condotta dall’ufficio studi di Mediobanca, può chiarire quanto esposto.
I dati aggregati per il campione di riferimento dell’indagine sugli oneri finanziari [3] presenta per il 1995 un valore di 946,393 miliardi di lire, che in percentuale del fatturato rappresenta il 3,46 ed in percentuale sugli utili rappresenta il 102,6%: ogni impresa risulta mediamente gravata da oneri finanziari per un ammontare di 1.866.652.860 di lire. Il dato è di natura strutturale per questo settore di imprese, se si osserva la serie storica dal 1986 al 1995 (figura 1).
Le medie imprese si caratterizzano inoltre per un’esposizione verso il sistema bancario di importo ingente e prevalentemente orientata al breve termine: nel 1995 su un totale di 2.905 miliardi di lire di debiti finanziari a m/I termine, 2.3 12 (79,6%) erano forniti dal sistema bancario, e su un totale d i 7.909 miliardi di lire di debiti finanziari delle medie imprese, 5.004 miliardi erano sul breve termine (63,3%) e soltanto 2.905 (36,7%) sul m/l termine.
Infine si riscontra presso le medie imprese italiane la tendenza a ripartire la domanda di credito su più banche: esse ritengono in questo modo di riuscire a ripartire in modo più efficace il rischio di credito, mentre le imprese riescono a ottenere gli affidamenti senza dover fornire informazioni particolarmente dettagliate, visto l’esiguo importo di ogni singolo rapporto di credito. Il fenomeno del pluriaffidamento cresce all’aumentare della grandezza di fido accordato (tavola 1).
I dati osservati ci consentono di notare alcune criticità nell’area finanza di una tipica media impresa italiana:
- eccessivo peso degli oneri finanziari, sia in valore assoluto che in percentuale sugli utili e sul fatturato;
- sbilanciamento delle fonti di indebitamento verso il breve termine;
- alta dipendenza dal sistema bancario;
- forte frammentazione dei rapporti di affidamento (prassi del pluriaffidamento).
La prima criticità lascia comprendere come vi sia lo spazio per una riduzione degli oneri finanziari, che cioè questi non debbano essere strutturalmente elevati ma che possano essere ridimensionati tramite una gestione più oculata e professionale da parte di un responsabile finanza che possa dedicarsi all’ottimizzazione dei flussi finanziari come unico suo compito (diversamente da quello che accade generalmente in una media impresa, in cui è l’imprenditore stesso o un responsabile amministrativo-contabile privo di competenze specifiche ad assolvere a questa incombenza).
La seconda conferma le osservazioni fatte ora, aggiungendo la sottolineatura dell’assenza di una pianificazione delle fonti di finanziamento tale da consentire una visione di largo respiro e di vera utilità per la crescita dell’azienda.
La terza criticità evidenzia lo scarso potere contrattuale delle medie imprese verso il sistema bancario, con la conseguenza che in rari casi il capitale di debito viene raccolto alle migliori condizioni di mercato: questo dato è anche la conferma della storica insufficienza nella struttura finanziaria delle medie imprese del capitale proprio.
La quarta rende difficile alle imprese la gestione ottimale della liquidità e al sistema bancario la corretta comprensione dell’effettivo fabbisogno finanziario del cliente nonché dei rischi che globalmente vengono assunti.
3. La prospettiva dell’outsourcing
Con il termine outsourcing si intende la terziarizzazione, parziale o completa, della gestione di una funzione aziendale, da considerare come alternativa rispetto alla tradizionale modalità di gestione autonoma; il fornitore si incarica di offrire un servizio secondo le specifiche qualitative e quantitative determinate in sede di stipula del contratto. Solitamente questo processo di esternalizzazione prevede il trasferimento di attività o risorse umane del cliente al fornitore del servizio (outsourcer).
Negli ultimi anni le imprese hanno iniziato ad affidare in gestione a terzi intere funzioni aziendali, sotto la spinta di motivazioni di ordine economico, strategico, organizzativo e operativo [4] .
Crescendo e divenendo più articolata la concorrenza e la ricerca di nuove opportunità di business, molte imprese, sia di medie che di grandi dimensioni, hanno ritenuto profittevole che il proprio management potesse concentrarsi sul core-business dell’impresa stessa, trovando in aziende esterne i partner ideali per gestire aree aziendali di minore rilevanza strategica o a più basso valore aggiunto o che comunque altri soggetti erano in grado di portare a livelli di eccellenza, con costi spesso minori.
Ovviamente diverse possono essere le motivazioni che spingono un’azienda a esternalizzare una funzione; tra le medie imprese, tipicamente alcune aree ricevono più attenzioni (in termini di risorse umane e di capitale dedicato) di altre: è il caso delle funzioni produzione, organizzazione, marketing, pur con le necessarie differenze per ogni singolo settore di attività, mentre aree quali la finanza, la pianificazione e il controllo, l’amministrazione del personale (intesa nel senso d i formazione continua) non sono adeguatamente «staffate» o non considerate come nodi strategici per il raggiungimento della mission aziendale. Per queste aziende il ricorso all’outsourcing si configura perciò come la via per ovviare a evidenti carenze di capacità professionali (numericamente o qualitativamente insufficienti), o per sfruttare le possibilità di sviluppo che queste aree oggi possono e devono esprimere.
Per contro, nelle grandi imprese, ogni area è sempre oggetto della visione integrata e della cura del top management, che difficilmente si può permettere il lusso di avere funzioni operanti al di sotto degli standard di qualità decisi per l’azienda nel suo complesso: per queste imprese saranno più le motivazioni di risparmio di costi, di garanzia di raggiungimento della qualità e di ricerca della flessibilità necessaria a operare in ambienti competitivi sempre più dinamici e incerti a spingere nella direzione dell’outsourcing.
Questo fenomeno presenta una diffusione di rilevante importanza e si caratterizza per tassi di crescita a due cifre: secondo la società di ricerche Idc, il mercato mondiale dell’outsourcing ne l 1994 valeva 18 miliardi di dollari (di cui 7,5 nei soli Usa), in linea con Merrill Lynch secondo cui il valore a l 1994 era di 20 miliardi di dollari. Le previsioni di Idc per il 1999 ammontano a 32,6 miliardi di dollari, di cui 18 attribuiti agli Usa.
In Europa invece il mercato è guidato da Regno Unito, Svezia e Francia; Spagna e Italia, secondo studi della società Frost&Sullivan, sono i paesi caratterizzati dai tassi di crescita più sostenuti, pari al 22 e 18% rispettivamente.
Per una panoramica dei benefici [5] attesi da un processo di outsourcing si veda tavola 2. A fronte di questi vantaggi, si sono riscontrati alcuni rischi [6] , che dipendono, oltre che dalla natura intrinseca del processo di outsourcing (che prevede la delega, se non lo smobilizzo di intere funzioni aziendali), anche dalla difficoltà di trasmettere all’outsourcer competenze spesso difficilmente comunicabili in quanto peculiari dell’esperienza professionale dell’impresa cliente e dalla corretta valutazione dell’impatto di questo tipo di strategia sull’insieme della catena del valore dell’azienda (tavola 2).
4. Il Local financial network
Una volta tratteggiate le principali caratteristiche e criticità dell’assetto finanziario di una media impresa, si propone come soluzione alle esigenze delineate l’esternalizzazione dell’area finanza di un pool di medie imprese a un soggetto terzo, dotato di professionalità dedicate e in grado di supportare lo sviluppo delle imprese stesse. La nuova entità che si viene a formare è denominata Local financial network (Lfn). Il suo percorso di formazione prevede le seguenti tappe:
- costituzione di un network di medie imprese collegate tramite rete informatica;
- creazione all’interno della banca-partner (o, in alternativa, creazione di una società finanziaria eterna o di una società-prodotto partecipata in percentuali diverse e da stabilire dalla banca e da un’associazione di categoria a tutela delle medie imprese) di un’unità organizzativa specializzata nel campo del corporate finance e dotata di professionalità dedicate che si incarica di:
- gestire ogni flusso finanziario da e verso le medie imprese;
- assicurare il raggiungimento degli obiettivi di redditività, sviluppo finanziario e di copertura dei rischi contenuti nel processo di pianificazione strategica deciso dalle singole imprese al momento della stipulazione del contratto di fornitura del servizio.
Ambito operativo del Lfn
Attività preliminare per consentire l’inizio del rapporto tra il Lfn e il pool di medie imprese è l’identificazione del fabbisogno finanziario delle imprese stesse.
L’analisi di questo fabbisogno parte dall’impostazione di un piano per la strutturazione adeguata delle fonti finanziarie, in relazione all’operatività e alla disponibilità di capitale proprio; in particolare, risulta indispensabile individuare tutte le azioni necessari e al fine di razionalizzare la situazione debitoria delle imprese. Si passa poi a impostare una politica di gestione appropriata del capitale circolante, con il fine di minimizzarlo sia in valore assoluto che in termini di costi generati. Si provvede, infine, all’accelerazione dei processi di incasso/pagamento e alla corretta gestione delle giacenze di indebitamento liquido.
Prendendo in considerazione le diverse componenti finanziarie che intervengono nel processo di creazione del valore di una tipica media impresa, il contributo che il Lfn potrebbe offrire in termini di minori costi o di migliore gestione delle risorse finanziarie potrebbe essere descritto nel seguente modo:
1) Finanziamento a breve termine:
a) per transazioni nazionali:
- scoperto di conto corrente, sovvenzione bancaria, presentazione di effetti Sbf, anticipazioni, sconto, factoring, operazioni a termine (pronti contro termine e riporto su titoli); e nella misura in cui il Lfn riesce ad accorpare per esigenze simili e scadenze ravvicinate nel tempo i diversi fabbisogni di finanziamento delle aziende clienti l’esternalizzazione apporterebbe vantaggi significativi; il Lfn potrebbe infatti presentarsi all’interlocutore bancario con una raccolta di richieste di finanziamento tale da poter raggiungere la massa critica necessaria per usufruire di condizioni migliori;
- finanziamenti diretti sul mercato: accettazione bancaria, commercial paper, cambiale finanziaria; pur essendo questi strumenti tipicamente riservati a imprese dimensionalmente e patrimonialmente più importanti delle medie imprese, il Lfn potrebbe fungere da punto di aggregazione per una «cordata» con la quale le medie imprese sarebbero in grado di valutare l’eventualità di ricorrere a questo tipo di finanziamento; come nel caso precedente, si avrebbe la possibilità di ottenere il volume finanziario utile necessario per accedere direttamente al mercato;
b) per transazioni internazionali:
- anticipi, sconto di effetti, factoring, credito acquirente; per queste operazioni i vantaggi dell’outsourcing dell’area finanza sarebbero rilevanti e sostanziali: infatti le medie imprese non possono avere la competenza professionale per accedere con profitto ai mercati esteri dei capitali, di cui non percepiscono, a livello di visione strategica, tutte le potenzialità; il Lfn potrebbe dunque fa re ciò che le aziende abitualmente non possono fare o fanno male o potrebbero fare ma a costi proibitivi;
c) per transazioni nazionali e internazionali:
- strumenti di copertura del rischio (di cambio, di interesse), swaps, options, futures, interest rate caps-floors-collars; essendo tutti gli strumenti derivati, nonostante la loro utilità, ampiamente sconosciuti, o in gran parte inutilizzati da parte degli addetti finanziari delle medie imprese, sicuramente il Lfn potrebbe, in virtù della sua vocazione di partner finanziario specializzato, offrire un contributo determinante in termini di know-how e di effettivo sfruttamento delle più efficaci forme di copertura dei rischi finanziari, spesso causa di dissesti e di scompensi nella struttura finanziaria delle imprese.
2) Finanziamento a medio-lungo termine:
a) per transazioni nazionali:
- mutuo, sconto; il Lfn, che si impegna a ricercare per le medie imprese le migliori condizioni sul mercato bancario, potrebbe consentire a ogni singola media impresa di sopportare costi inferiori a quelli che avrebbe dovuto affrontare, grazie ai diversi volumi negoziati tra Lfn e banca e alla possibilità che il Lfn ha di mettere in competizione le diverse offerte bancarie;
- finanziamenti in pool: conciliando le esigenze delle imprese clienti del servizio di outsourcing, il Lfn riuscirebbe ad ottenere dalla banca capofila o dalla società lead manager migliori condizioni contrattuali, o più ampie disponibilità di mezzi finanziari, grazie all’importante massa raccolta;
- leasing: il Lfn potrebbe gestire questo strumento con condizioni migliori di quelle che le singole medie imprese conseguirebbero da sole, grazie alla sua più specifica competenza, alla sua capacità e disponibilità di tempo per la contrattazione, alla sua migliore conoscenza delle diverse offerte provenienti dalle banche;
- azioni e obbligazioni: date le ovvie, anche se non rilevantissime, differenze che esistono tra le medie imprese quanto a situazione economica e patrimoniale, piani di sviluppo finanziario, capitale reputazionale sul mercato, non sembra fattibile una gestione centralizzata da parte del Lfn di emissione di azioni e/o collocamento di obbligazioni; il Lfn potrebbe però curare la realizzazione dell’operazione, affidando a una o più banche-partner uno studio di origination e di under rating, per consentire alle imprese di superare la loro ancestrale ritrosia ad affacciarsi sui mercati dei capitali;
- venture capitaI: i diversi stadi di sviluppo interno e sul mercato delle imprese clienti non consentono il conseguimento di un reale vantaggio competitivo derivante da economie di scala; il Lfn sarebbe invece in grado di assistere le medie imprese nella predisposizione dei progetti individuati e nella ricerca del partner ideale per un’operazione che richiede professionalità specifiche e non alla portata dei tradizionali direttori finanziari; operazione particolarmente utile per le medie imprese, in quanto consente loro di reperire fondi sul medio/lungo termine e di aumentare la capacità di penetrazione sui mercati di sbocco in virtù del prestigio che potrebbero acquistare grazie ai loro partner finanziari;
- fondi di investimento: dal momento che il Lfn stesso si preoccuperebbe di ottimizzare le disponibilità finanziarie delle diverse imprese in va lori mobiliari, l’utilizzo di questo tipo di strumento dovrebbe pure essere esternalizzato, anche per sfruttare la migliore capacità informativa di cui il Lfn potrebbe essere in possesso;
b) per transazioni internazionali:
- sconto di effetti, credito acquirente, leasing all’esportazione; vale quanto osservato in precedenza relativamente agli strumenti che consentono l’accesso al mercato estero dei capitali; preme ancora sotto lineare il grande salto di qualità che in termini di competenza finanziari a e di conoscenza del funzionamento dei mercati esteri il Lfn potrebbe far fare alle medie imprese.
3) Crediti di firma:
- avallo, fideiussione, accettazione, credito documentario: in quest’area il ruolo del Lfn si può configurare come un notevole e prezioso apporto di tipo consulenziale, studiando l’opportunità per le medie imprese di utilizzare questi strumenti e indicando i fornitori bancari presso cui trovare le migliori condizioni.
4) Gestione transnazionale:
- electronic banking, cash pooling, cash management: essendo le medie imprese generalmente né consapevoli della rilevanza strategica del loro utilizzo né dotate delle infrastrutture informatiche necessari e all’accesso a questo tipo di servizi, il Lfn potrebbe funge re da operatore qualificato per l’implementazione del know-how necessario, consentendo alle medie imprese di effettuare operazioni di tesoreria integrata, ad esempio, e comunque di tesoreria avanzata in genere, per via telematica, come già le imprese di maggiori dimensioni sono abituate a fare.
Vantaggi del Lfn
Per le banche. Si considera l’ipotesi che sia un soggetto bancario latu sensu [7] a creare al proprio interno un’unità organizzativa specializzata nel campo del corporate finance, dotata di professionalità dedicate. La gestione da parte della banca delle aree finanza di un network di medie imprese porterebbe, oltre a un ritorno di immagine la cui efficacia è difficilmente quantificabile, una serie di benefici: questi saranno determinanti nell’attuale situazione di delicata evoluzione che il settore bancario sta attraversando, specialmente per quanto riguarda la struttura professionale e le diverse componenti del conto economico. I principali benefici ipotizzabili sono:
- incremento del margine da servizi: il vero nodo da risolvere per consentire a quasi tutte le banche italiane di cogliere le sfide che l’unificazione europea pone in modo sempre più stringente è rappresentato dal bisogno di ridefinire la composizione del margine di intermediazione, riducendo la componente di margine di interesse a tutto vantaggio di quella dei servizi. Saranno destinate ad arroccarsi in nicchie di mercato più rischiose quelle istituzioni creditizie che continueranno a fare profitto in misura predominante con la forbice dei tassi di interesse [8] , destinata a ridursi per effetto dell’accresciuta competitività (nel 1995 i ricavi da servizi in percentuale dei fondi intermediati erano pari allo 0,27% [9]);
- efficiente e completo utilizzo di molte infrastrutture (Edp, reti telematiche, customer desk, altro), di cui spesso le banche si sono dotate non calibrandole sugli effettivi bisogni per le quali erano nate: si minimizzerebbero così i costi di gestione di strutture sovradimensionate o sottoutilizzate, problema poco noto ai non addetti a i lavori, ma reale nel mondo bancario;
- sostanziale proporzionalità tra rischi assunti e condizioni (tasso, commissione, ecc.) applicate: oggi si nota come le imprese dotate di rating, o comunque di un certo standing creditizio, possano reperire e allocare le risorse loro necessari e sul mercato dei capitali senza necessariamente appoggiarsi alle banche; conseguentemente le banche si trovano «costrette» a intrattenere rapporti di credito con imprese il cui grado di rischio, in termini di insolvenza o di illiquidità prolungata, non è proporzionale alla (bassa) remunerazione che riescono a ottenere; di qui la tendenza da parte delle banche (con il beneplacito delle imprese) ad aprire molteplici linee di affidamento, nessuna delle quali valutata secondo criteri di redditività attesa del progetto che è oggetto del finanziamento [10];
- fidelizzazione (retention) del cliente: grazie alla qualità del servizio offerto dal Lfn, le medie imprese potrebbero essere messe in condizione di porre, se non fine, quanto meno un argine al fenomeno del pluriaffidamento, scegliendo il Lfn come unico partner privilegiato per le operazioni finanziarie rilevanti e affidando , come già accade in Germania, a poche altre banche le operazioni minori per dimensioni e grado di sofisticazione.
Di contro saranno necessari:
- un rafforzamento patrimoniale e/o dimensionale tale da consentire il sostenimento di spese elevate quale quelle che si profilano per l’introduzione del Local financial network (Information technology in generale, spese per addestramento del personale, aumento della capitalizzazione per fronteggiare gli alti rischi iniziali insiti nel business);
- lo sviluppo del processo di formazione e riqualificazione delle risorse umane, assolutamente necessario per creare quelle professionalità dedicate e attive nell’ambito del corporate finance. In questo modo esse potranno essere considerate non più solo come costi aziendali da minimizzare, ma come unità generatrici di valore per l’impresa-banca;
- ingenti investimenti nel campo delle alte tecnologie e della multimedialità, per porre in essere il processo di outsourcing in oggetto e garantire un collegamento informativo e operativo in tempo reale tra l’istituzione creditizia e ogni singola impresa facente parte del network: le stesse dotazioni informatiche consentiranno alle banche di compiere un enorme passo in avanti seguendo la direzione ormai intrapresa dai più importanti global player del settore.
Per le medie imprese. Il grande cambiamento che il Lfn porterebbe è rappresentato dalla riconsiderazione della funzione finanziaria come strumento da cono cere e gestire con la stessa attenzione e professionalità con cui tradizionalmente le medie imprese curano altre aree: essa non può forse trasformare un’impresa di mediocre profilo in una di successo, ma, se malgestita o trascurata, può creare serissimi problemi a un’azienda competitiva quanto a tutte le sue altre componenti.
Le caratteristiche che le singole imprese del pool dovrebbero possedere possono essere così sintetizzate:
- capitale compreso tra i 10 e i 50 miliardi;
- buon tasso di sviluppo (in termini di quota di mercato o di nicchia);
- alta propensione all’innovazione;
- operatività in settori ad alto valore aggiunto, o in tutti gli altri settori purché con forte vantaggio competitivo sulla concorrenza.
I vantaggi che l’outsourcing dell’area finanza al Lfn può apportare a questo tipo di medie imprese sono:
- eliminazione delle condizioni di inefficienza in cui sono costrette a lavorare la maggior parte delle aree finanza delle medie imprese, che, non raggiungendo con i flussi finanziari che derivano dalla loro sola gestione la soglia dimensionale adeguata, spuntano dalle banche condizioni poco favorevoli: l’aggregazione dei flussi di più imprese da parte del Un pone l’interlocutore bancario in grado di offrire tassi che normalmente sono riservati a imprese con volumi di intermediazione e standing creditizio ben più e levati;
- implementazione di capacità specifiche nel campo della finanza operativa: diversi sono ormai i casi di aziende che, pur presentandosi con un buon portafoglio prodotti e un’efficace strategia di marketing, hanno stentato ad affermarsi come competitori di eccellenza, o addirittura hanno registrato forti perdite economiche, a causa di una gestione finanziaria avventata, o condotta senza la professionalità che questa funzione richiede. La possibilità di fondare campagne di lancio promozionali su nuovi mercati o la penetrazione in inedite nicchie di mercato o la difesa della leadership in determinati settori dipende pesantemente dalla preparazione di un’attenta pianificazione finanziaria, dall’adeguata conoscenza e copertura dei rischi di mercato (di tasso e di interesse, visto che quello di cambio è destinato a scomparire con l’introduzione della moneta unica europea) e dall’appropriato utilizzo di tutti gli strumenti finanziari oggi disponibili;
- riduzione dei tempi e delle energie che il top management di quasi tutte le medie imprese è costretto a dedicare alla risoluzione di problemi di tipo finanziario: questo consente, a livello strategico, di focalizzare la propria attenzione sulla definizione della strategia inerente al core-business dell’azienda e sullo studio di tutte le variabili su cui si fonda la competitività dell’impresa. A livello operativo, il Lfn consentirebbe di gestire le problematiche di tesoreria e di finanza ordinaria con le energie, la competenza e l’attenzione effettivamente necessarie per raggiungere una loro ottimizzazione (intendendo con questo termine l’accelerazione dei flussi di incasso e il loro pronto impiego, la posticipazione dei flussi di pagamento con minori costi, la diminuzione dei debiti a più alto costo e la massimizzazione dei crediti a più alta redditività), obiettivo che solitamente gli amministratori delle medie imprese non riescono a raggiungere, dovendosi occupare della gestione di molte problematiche aziendali contemporaneamente;
- avvio di un effettivo processo di ottimizzazione delle risorse finanziarie, soprattutto in merito alle condizioni applicate dalle banche, per l’impegno del Lfn di mettere in concorrenza i diversi fornitori di capitale e di scegliere in ogni momento l’offerta più vantaggiosa e opportuna; in altri termini, il Lfn potrebbe fare ciò che abitualmente risulta onere del direttore finanziario, o più spesso del management, consentendo a quest’ultimo di occuparsi della gestione complessiva dell’impresa;
- possibilità di portare agli stessi livelli di eccellenza raggiunti nell’area finanza dal Lfn le altre funzioni aziendali che, sotto la vigile guida di un management interamente dedicato allo studio e all’applicazione dei piani strategici, possono incrementare notevolmente il know-how specifico dell’impresa e concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi indicati dalla direzione; dal momento che il Lfn si impegna contrattualmente a fornire un servizio ad alto valore aggiunto, pure le altre funzioni aziendali sarebbero sottoposte alla verifica di un rigoroso piano di obiettivi da rispettare sotto precisi vincoli di costo;
- riduzione dei costi derivanti dalla funzione finanza: la spesa che ogni media impresa dovrebbe affrontare per la gestione delle problematiche finanziarie sarebbe significativamente inferiore all’attuale [11], non essendo necessario un singolo professionista per ogni azienda e potendosi ripartire le spese generali tra le diverse medie imprese appartenenti al pool (It, logistica, ecc.).
Considerazioni operative
L’introduzione nel nostro paese del descritto modello di relazioni banca-medie imprese può realizzarsi in due modi [12]:
- creazione all’interno della banca di un’unità organizzativa specializzata nel campo del corporate finance, dotata di professionalità dedicate. Sotto questo profilo, sia banche di grandi dimensioni che banche di ridotte dimensioni (tramite associazioni di categoria quali l’Iccri, l’Icrea, ecc.) potrebbero dare vita al Lfn. Questa sembra essere la soluzione più indicata, per i seguenti motivi: economie di scala raggiungibili; fiducia e solidità patrimoniale tipicamente offerte dall’istituzione bancaria; riduzione di costi derivante dallo sviluppo interno di una struttura, senza duplicare funzioni o professionalità già esistenti;
- costituzione di una società finanziaria esterna, partecipata in misure diverse dalla banca e dalle medie imprese, che può anche assumere la forma di una società-prodotto di banche (come Arca, EptaConsorce o Network Bancario Italiano).
Il nodo da risolvere è quello rappresentato dal ridotto ambito di attività che questo genere di società può svolgere rispetto all’operatività richiesta dal Lfn, dati i vincoli normativi esistenti in materia.
Un’ultima considerazione risulta importante: a seconda della qualità (fiducia) del rapporto esistente fra la banca che gestisce i flussi finanziari e il pool di medie imprese potranno darsi tre situazioni di massima, con riferimento alla misura della ripartizione dei rischi tra i due soggetti (figura 4).
Inizialmente infatti, quando le medie imprese non hanno la sicurezza della trasparenza con cui le banche gestiranno i loro flussi finanziari è verosimile che pretendano, soprattutto per le operazioni più sofisticate, e meno conosciute, una condivisione dei rischi che potrebbero sorgere dalla gestione esternalizzata. A seconda della qualità del rapporto che esiste tra i due interlocutori la percentuale di rischi condivisi potrà crescere più o meno proporzionalmente nel tempo: in questo modo si può sopperire alla possibilità che la banca approfitti della sua posizione di superiorità nei confronti delle medie imprese di cui ha in gestione l’area finanza.
La banca si impegna ad assumersi parte dei rischi in misura comunque crescente alla complessità delle operazioni che pone in essere per conto delle medie imprese, in questo modo dimostrando, soprattutto verso quelle medie imprese con cui in precedenza non aveva rapporti di credito, l’approccio di tipo Hausbank che può rendere possibile questa forma di partnership.
È pure prevedibile che, nelle fasi sperimentali del processo di gestione dei flussi finanziari da parte della banca, le medie imprese si riservino il diritto di approvare le decisioni di allocazione/reperimento del capitale che maggiormente possono influire sulla loro struttura gestionale e reddituale (assunzione di partecipazioni oltre una certa soglia, ristrutturazione del capitale, iniezione di capitale di rischio, ecc.).
Essendo forse il problema della credibilità dell’interlocutore bancario (che deve mostrarsi totalmente alieno da ogni possibile conflitto d’interesse) il più rilevante per l’istituzione del Un, si può anche prevedere un’ulteriore forma di tutela: al momento di stipulare il contratto le medie imprese possono definire una serie di obiettivi di tipo reddituale e strategico che la banca si impegna a perseguire in un certo lasso di tempo e rispetto al quale viene subordinato il pagamento delle commissioni.
Si potrebbe infine prevedere, sotto forma di facoltà che il pool di aziende può esercitare, che le banche non possano utilizzare come prodotti finanziari di gestione dell’area finanza loro affidata strumenti prodotti e/o distribuiti dalla banca stessa; in questo modo il rischio. di comportamenti scorretti è ridotto al minimo.
5. Conclusioni
Il rapporto tra banca e medie imprese è destinato ad assumere sempre maggior peso nel dibattito sulle condizioni di sviluppo del nostro paese, per la rilevante importanza che il comparto delle medie imprese riveste per la nostra economia e per le forze del cambiamento che in modo sempre più stringente costringeranno il sistema bancario a ripensare il proprio modo di fare business.
Un ripensamento del rapporto banca-impresa in chiave di partnership consentirà alle medie imprese di presentarsi più competitive sul mercato internazionale: essendo quest’ultimo ormai caratterizzato da una forte pressione concorrenziale, vitale sarà il contributo che potrà offrire il sistema bancario, in termini sia di consulenza che di supporto operativo, e procedendo senza esitazioni in questa direzione sarà l’intero sistema paese a beneficiare del circolo virtuoso.
Le banche italiane devono comunque acquisire la consapevolezza che il settore delle medie imprese rappresenta un’area di mercato che sarà oggetto di studio e di penetrazione commerciale da parte dei grandi player del mondo creditizio straniero: il ruolo della banca commerciale tradizionale è destinato a ridimensionarsi sullo scacchiere internazionale, a tutto vantaggio di un modello di banca che fa dell’investment banking, dell’operatività nella finanza mobiliare e straordinaria, della partecipazione ai grandi processi di M&A e di underwriting e collocamento di titoli sul mercato il proprio core business.
Il riscontro che l’ipotesi del Local financial network ha ottenuto presso le banche, di diverse dimensioni e nazionalità, e presso alcune imprese in cui già esistono sistemi avanzati di gestione della finanza, è stato di grande interesse. Il giudizio sulla sua possibilità di attuazione è stato controverso: molti ne hanno sottolineato la fattibilità tecnica, la sostenibilità economica, la sua rilevanza per offrire sia al mondo bancario che a quello imprenditoria le opportunità strategiche di ampia portata alla luce delle sfide che il mercato propone in modo sempre più pressante. Altri, pur condividendone i presupposti empirici [13], ne hanno indicato la non fattibilità a causa dei rapporti poco improntati sulla fiducia esistenti oggi tra banche e imprese, della scarsa e arretrata cultura finanziaria delle imprese e della loro ritrosia ad attuare una vera politica di trasparenza verso il settore creditizio, e dei rischi che graverebbero sul Lfn gestore dei flussi finanziari a causa dell’eccessiva concentrazione del credito.
L’introduzione del Local financial network potrà verificarsi nel medio-lungo termine a condizione che sia presso le medie imprese che, soprattutto, presso le banche, si compia un coraggioso salto culturale e un cambiamento tattico di approccio al mercato: le prime devono guardare al mondo bancario non come a un grande e variegato supermarket finanziario, presso cui acquistare servizi e beni indifferenziati ai prezzi migliori, bensì come a un interlocutore privilegiato con il quale studiare le soluzioni ottimali per il proprio sviluppo (visione Hausbank); le seconde devono riorientare la domanda e le aspettative delle imprese clienti, presentandosi non come meri fornitori di prodotti finanziari ma come professionisti in grado di risolvere le problematiche che ogni singola azienda deve affrontare, assistendola con risorse specifiche e dedicate in modo personalizzato.
Sarebbe pure auspicabile che, nell’ambito delle iniziative legislative che il Governo realizza per il rilancio dell’imprenditoria del nostro paese, vi fossero agevolazioni (ad esempio fiscali) per quelle medie imprese più innovative e in forte crescita che desiderino aggregarsi in pool e dare in outsourcing la propria area finanza a un Lfn: potrebbe essere questa una via per ridurre in modo considerevole lo storico conflitto banca-impresa. Ne risulterebbe rafforzato anche il sistema paese, grazie all’apporto di professionalità nel campo della finanza di cui beneficerebbero proprio quelle imprese che già oggi sono la realtà produttiva più viva e promettente, ma che spesso non sono in condizioni di decollare e di competere a livello internazionale per mancanza di competenze in ambito finanziario.
I contorni della sfida globale che impegna i due interlocutori sono tali da non lasciare spazio a nessun tipo di buying-more time-approach. Soltanto chi avrà il coraggio imprenditoriale di attuare nuove strategie di relazione con i rispettivi partner di mercato riuscirà a cogliere le insospettate prospettive di crescita e di innovazione che caratterizzano l’attuale scenario competitivo.
Marco Vigorelli
Maurizio Cortese
Andersen Consulting
Note
[1] Mediobanca. Dati cumulativi di 1746 società italiane (1996), Milano 1996.
[2] Intese per «società di medie dimensioni» quelle che nel 1995 non eccedevano i limiti di 50 miliardi per il capitale, di 150 miliardi per il fatturato e di 500 unità per il personale occupato.
[3] Oneri finanziari su obbligazioni e altri oneri finanziari.
[4] Recenti sono cas d Fiat Auto: (Outsourcing della telefonia Internazionale a Telecom Italia e della logistica trasporti a Tnt-Traco), London Stock Exchange (Outsourcing dei sistemi informativi ad Andersen Consulting), Shell Brasile (Outsourcing dei sistemi informativi a Origin), McDonell Douglas (Outsourcing dell’lt a Issc). Decisamente rilevante è il caso di British Petroleum Europa, che ha dato in Outsourcing ad Andersen Consulting la gestione amministrativa della finanza e del reporting: è stato il primo caso mondiale (e rimane tuttora l’unico) di Outsourcing di questo tipo di attività.
[5] Confronto Quinn J.B.-Hilmer F.G., «Strategic Outsourcing», in Sloan Management Review, n. 4/1994, vol.35, pp.43-55, Camussone P.F., «L’Outsourcing dei sistemi informativi – Vantaggi, rischi e principali riflessi organizzativi», in Economia & Management, n. 3/1995, p. 115, Acabbl C.L.-Andersen Consulting, «BPM vuol dire eccellenza», in Management Forum, Mondo Economico, 18 settembre 1995, p. 83.
[6] Confronta Camussone p.116.
[7] Successivamente si prospetteranno con maggiore dettaglio le due ipotesi circa la forma operativa e giuridica che il Lfn potrà assumere: a) Banca di grandi dimensioni, o anche banche di ridotte dimensioni tramite associazioni di categoria (Iccri, Icrea…); b) Società finanziaria «tradizionale» o società-prodotto di banche (Arca, EptaConsorce, Network Bancario Italiano…).
[8] Nel 1995 il tasso di interesse medio reale sugli impieghi bancari in Italia era superiore dello 0,9% rispetto alla Germania, dell’1% rispetto alla Francia e del 2,2% rispetto al Regno Unito (dati Banca d’Italia).
[9] Fonte Banca d’Italia, Relazione Annuale, Roma 1996.
[10] Basti ricordare che al dicembre 1995 il rapporto utilizzato/accordato per gli impieghi delle banche alle società non finanziarie era pari al 55,64% (media del rapporto per società non finanziarie, industria in senso stretto, settori industriali esportatori, costruzioni e servizi, dati banca d’Italia).
[11] I costi che la media impresa dovrebbe affrontare se volesse creare al proprio interno una struttura dotate delle stesse potenzialità del Lfn sarebbero così ripartiti: professionista del corporate finance: 100-150 milioni annui; segreteria: 50 milioni annui; Pc, altre dotazioni It: 30 milioni annui; logistica varia: 20 milioni annui; totale: 200-250 milioni annui.
[12] Le affermazioni di tipo giuridico contenute in questa sezione hanno carattere indicativo e di suggerimento e non di studio rigoroso e sistematico dei problemi indicati.
[13] Per le banche: scarsa redditività, basso margine da servizi, ridotta innovazione dei servizi offerti, inefficace politica di valutazione del merito di credito; per le medie Imprese: area Finanza trascurata o inesistente, eccesso di passività sul breve, superficiale processo di pianificazione finanziaria, diffidenza verso l’innovazione finanziaria e contemporanea percezione dei benefici da essa generabili, insufficiente copertura dei rischi di mercato.
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