Lavoro, immigrazione, crisi: la quadratura che non si trova

Nuovi numeri sul mercato del lavoro

Alla luce del consistente incremento dei flussi migratori e dell’attuale contesto economico-finanziario, è necessario fare il punto della situazione sulla condizione della forza lavoro immigrata al tempo della crisi. Lo facciamo a partire dal confronto tra due studi che analizzano il tema del mercato del lavoro dei migranti in Italia nell’arco di un biennio (cfr. Il mercato del lavoro immigrato negli anni della crisi, di Giuliano Ferrucci, Emanuele Galossi, Osservatorio sull’immigrazione Ires-CGIL, gennaio 2013 e Quinto rapporto annuale. I migranti nel mercato del lavoro in Italia, a cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, luglio 2015).

Nel 2014 sono circa 5 milioni gli stranieri presenti in Italia (pari all’8,1% della popolazione). Tra il 2013 e il 2014 si è assistito a un incremento delle comunità rumena (la più numerosa, +15,9%), egiziana (+25,2%), bengalese (+20%), nigeriana (+18,3%) e filippina (+15,3%). Pertanto, la maggioranza della popolazione straniera residente in Italia (quasi l’80%) è costituita da immigrati non UE, mentre solo il 20,4% è composto da cittadini UE (principalmente cittadini di paesi neo-UE, quali la Romania). I dati EUROSTAT del 2014 confermano anche che l’Italia (4,9 milioni di stranieri) è, insieme alla Spagna (4,7 milioni di stranieri), tra i paesi che negli ultimi venti anni hanno registrato la più alta crescita demografica per effetto dei consistenti flussi migratori.

Occorre tenere in considerazione che l’attuale mercato del lavoro italiano ha subito (e continua a subire) gli effetti della profonda crisi economico-finanziaria degli ultimi anni. Nel 2012 c’è stata una perdita di quasi 460 mila unità lavorative e il tasso di occupazione totale (popolazione 15-64 anni) è calato al 56,8%. Paradossalmente, la popolazione straniera in età lavorativa (15-64 anni) è aumentata (+53,3% nel 2012), mentre la popolazione italiana della stessa fascia di età è calata del -2,2%. Tuttavia, il totale dei disoccupati tra i lavoratori stranieri risulta più alto rispetto alla media italiana.

I dati aggiornati al 2014 confermano un’ulteriore contrazione della forza lavoro straniera, che sembra avviato verso una sostanziale attenuazione: complessivamente, la popolazione straniera in età da lavoro (15-64 anni) è di poco superiore ai 4 milioni di individui, di cui 2.294.120 occupati, 465.695 persone in cerca di lavoro e 1.240.312 inattivi.

Sempre nel 2014, i settori maggiormente interessati dalla componente migratoria riguardano i Servizi collettivi e alla persona (37%), le Costruzioni (19,2%), l’Agricoltura (13%), il Turismo (15,8%) e i Trasporti (11,7%). Mentre, nel biennio 2013-2014, si è assistito a un incremento della componente straniera nel settore del Commercio (7,0%) e dell’Agricoltura (13,8%) e a un calo nel settore delle Costruzioni (-12,8%). I lavoratori stranieri (comunitari e non) sono inquadrati per lo più come lavoratori dipendenti (87%), anche in ottemperanza della normativa sull’immigrazione (D.lgs. 286/98, in seguito modificata dalla L. 189/02 e attuata dal D.P.R. 334/04), mentre i lavoratori autonomi sono circa il 12% e i collaboratori l’1,2%. Aumentano, negli ultimi anni, i contratti part-time (dipendenti e autonomi) e gli accordi verbali.

Dal punto di vista delle imprese, i datori di lavoro tendono ad assumere lavoratori stranieri in determinati comparti e mansioni comunemente etichettati come “lavori da immigrati”. Oltre un terzo dei lavoratori immigrati, nel 2012, svolge una professione non qualificata e il 60% circa è impiegato in una micro-impresa (a fronte del 34% degli italiani). Nel 2014, più del 70% dei lavoratori stranieri è impiegato con la qualifica di operaio. La quota di occupati stranieri con la sola licenza elementare è più alta della quota stimata per gli italiani (rispettivamente il 9,4% e il 3,4%), così come la percentuale dei lavoratori stranieri laureati è circa la metà di quella stimata per la controparte italiana (11,8% vs. 21,3%). A fronte di mansioni poco qualificate e di più bassi livelli contrattuali, le retribuzioni dei lavoratori stranieri sono inferiori alla media italiana, non c’è relazione positiva tra titolo di studio e livello salariale e la retribuzione di un lavoratore straniero diplomato è quasi pari a quella di un lavoratore in possesso della sola licenza elementare. Tali fattori, non fanno che incrementare le problematicità del lavoro immigrato in tutti i suoi aspetti, nonché il rischio di povertà ai quali tali lavoratori sono esposti e le implicazioni sulla società.­­­­­­­­

Un’altra problematica che emerge riguarda l’abuso della figura del lavoro autonomo (in crescita del 14,6% nel 2012, e pressoché stabile nel biennio 2013-2014), spesso usata dai datori di lavoro al fine di ridurre i costi di impiego e che in molti casi i lavoratori stranieri sono “obbligati” ad accettare per evitare rischi di marginalizzazione ed esclusione.

Quanto emerge dai due studi porta a riflettere sull’importanza e il ruolo dei lavoratori stranieri nell’attuale mercato del lavoro, nonché sul loro potenziale contributo per una potenziale, futura, crescita economica del Paese. Tuttavia, gli elevati livelli di precarizzazione e disoccupazione cui sono soggetti tali lavoratori confermano un’incapacità nel valorizzare e tutelare la forza lavoro straniera. Elevato è, quindi, il divario tra lavoratori italiani e stranieri riguardo a retribuzione, professione e mansioni svolte.

Al fine di riequilibrare e normalizzare l’attuale mercato del lavoro ed eliminare le condizioni di disuguaglianza e ricattabilità, lo studio condotto dall’Osservatorio Ires-CGIL suggerisce di intervenire su due variabili: da un lato sulla domanda di lavoro (ad esempio qualificando i servizi offerti, accrescendo il livello d’innovazione e conoscenza, sviluppando produzioni a maggior valore aggiunto, investendo sul capitale umano); dall’altro su quello dell’offerta (rimuovendo i vincoli che pregiudicano l’uguaglianza nel mercato del lavoro).

I dati aggiornati al 2014 non lasciano intravedere alcuna inversione di marcia in tal senso. Le condizioni di disuguaglianza e iniquità tra lavoratori italiani e stranieri continuano a essere presenti.

Sarà, dunque, possibile trovare una quadratura tra lavoro e immigrazione alla luce dell’attuale situazione di crisi economico-finanziaria?

di Gianpaolo Tomaselli

Ph.D. Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro