Alleanze strategiche nei servizi finanziari: una leva fondamentale per il rafforzamento delle banche italiane

di Marco Vigorelli, Orio Pontiggia, Alberto Buffa di Perrero, Claudio Scardovi

Articolo apparso in «Bancaria», anno 55, n. 4, 1999, pp. 8-19

Di fronte alla prospettiva di un attacco da parte di intrusi provenienti da altri settori, le banche europee e ita liane non possono solo rafforzarsi utilizzando le due strategie tradizionali (fusioni-acquisizioni e crescita interna). Devono anche puntare sulle alleanze strategiche di scala, di prodotto, di canale distributivo con un numero sempre maggiore di partner industriali, in chiave anche offensiva. Altrimenti il rischio di insuccesso dell’azienda e di migrazione del valore dalle banche verso nuove industrie concorrenti è molto rilevante.

1. Tre opzioni per crescere: buy, build, borrow

Il successo e la sopravvivenza di qualsiasi essere vivente è legato alla capacità di alcune molecole – chiamate geni – di replicare se stesse. l geni possono però funzionare come molecole replicanti solo in determinati ambienti, definiti dalla biologia «nicchie» . Il grado di adattamento del gene alla nicchia determina la sua competitività rispetto a geni concorrenti, e la sua capacità di prosperare nell’ecosistema in continua evoluzione. È la sopravvivenza della conoscenza – implicita nella capacità di adattamento, e non necessariamente del gene o di qualsiasi altro oggetto fisico, il fattore comune dei geni replicanti e di quelli non-replicanti destinati all’estinzione. È la capacità di subire mutazioni nel tempo, implicita nel grado di intolleranza all’ecosistema in continua evoluzione, e non necessariamente la maggiore forza e conoscenza originaria, il fattore determinante la selezione naturale che porta solo i geni più forti a sopravvivere [1].

Anche l’industria bancaria, in profonda e veloce trasformazione, nella futura Eurolandia determinata dall’introduzione della moneta unica europea, sarà dominata da una competizione che supera i confini geografici e di settore facendo evolvere profondamente l’ecosistema di riferimento e portando a estinzione quelle istituzioni finanziarie che non sapranno proattivamente adeguarsi all’evoluzione dei mercati e della società. Al cadere delle barriere normative e come conseguenza della scomparsa delle distanze geografiche, le banche e le altre istituzioni finanziarie innovano i loro prodotti e servizi, oltrepassando i confini tradizionali dell’industria nel perseguimento aggressivo delle nuove opportunità offerte dalla europeizzazione dei mercati. Allo stesso tempo, lo sviluppo della tecnologia dell’informazione e delle telecomunicazioni, trainato dalla virtualizzazione della società, permette ad altre potenti organizzazioni extra-bancarie l’ingresso nel business finanziario e la competizione aggressiva con i più tradizionali e affermati gruppi bancari italiani.

I nuovi «intrusi» non sono però tutti simili tra loro. Gli intrusi in evoluzione sono certamente «egoisti», perseguendo prima di tutto il loro personale interesse genetico di sopravvivenza e riproduzione. In particolare, gli intrusi «parassiti» arrecano danni durevoli agli altri geni che già popolano l’ecosistema che li ospita. Altri però scelgono una strategia differente, sviluppando una relazione simbiotica con l’ambiente circostante, pur rimanendo fedeli ai loro interessi di «geni egoisti» [2]. In altre parole, tutti gli intrusi che potranno guadagnare dal legare il proprio destino a quello dei geni che già abitano l’ecosistema sceglieranno di cooperare con loro in simbiosi, pur conservando l’individualismo concorrenziale di fondo. In particolare, sceglieranno di cooperare in modo competitivo, così che l’organizzazione complessa che ne scaturisce si comporti e agisca in modo univoco e coerente, per la realizzazione di opportunità comuni e per lo sfruttamento di un valore condivisibile. Anche le banche e le altre istituzioni finanziarie, per raggiungere in tempi brevi gli obiettivi di innovazione di prodotto e servizio, e di supermaneto dei confini tradizionali dell’industria – contenendo al tempo stesso i costi, gli investimenti e i rischi realizzativi – possono scegliere di trasformare i nuovi concorrenti extra-bancari da parassiti a intrusi simbiotici, decidendo di perseguire, piuttosto che le operazioni tradizionali del consolidamento mediante fusioni e acquisizioni (M&A) – Buy, o attraverso la crescita interna – Build (modello di business «Ameba» [3], quella più innovativa delle alleanze strategiche – Borrow (modello di business «Paguro Bernardo» [4].

Anche le banche e le altre istituzioni finanziarie, per sfruttare le opportunità offerte dalla nuova Eurolandia, possono decidere di sviluppare una strategia di cooperazione e competizione parallela con le altre organizzazioni, non necessariamente appartenenti alla stessa industria e area geografica e generalmente caratterizzate da competenze distintive ed expertise professionali differenti.

 

2. Alleanze: le cenerentole di Eurolandia?

Per crescere e per creare valore, le istituzioni finanziarie europee hanno tipicamente perseguito, anche parallelamente, due alternative:

  1. attraverso strategie di finanza straordinaria di fusione e acquisizione (M&A) di altre banche, business unit e società prodotto, hanno cercato di creare valore attraverso il raggiungimento di economie di scala e di scopo, il rafforzamento della forza contrattuale sul mercato, l’integrazione sinergica produttiva-distributiva della catena del valore e l’integrazione dell’offerta di un portafoglio completo di prodotti e servizi. Le strategie di Buy si sono rivelate più spesso costose (da un punto di vista finanziario) e rischiose (da un punto di vista realizzativo) richiedendo investimenti importanti, progetti di gestione complessi, tempi lunghi di esecuzione e un ritorno atteso – al meglio – incerto;
  2. attraverso strategie di spinta commerciale aggressiva e di sviluppo delle operations, hanno cercato di creare valore attraverso la crescita interna, perseguendo sovente quegli stessi obiettivi legati alle strategie di acquisizione e fusione. Ma la crescita interna è stata più spesso focalizzata sui volumi gestiti, sulle aree territoriali servite, o sul numero di prodotto offerti, piuttosto che sullo sviluppo delle competenze distintive e del knowledge capital delle banche. Le strategie di Build hanno inoltre richiesto tempi lunghi e una significativa e continua attenzione da parte del management.

Oltre il modello di business «Ameba» (strategie di crescita Buy e Build), una terza opzione strategica per la creazione di valore conomico aggiunto e per il rafforzamento della posizione competitiva delle banche europee si è venuta affermando. Le alleanze strategiche (strategie di crescita Borrow) possono essere definite come «accordi di collaborazione strategica ed operativa sanciti contrattualmente, con decisioni, rischi e risultati condivisi». Come modello alternativo (modello di business «Paguro Bernardo») di cooperazione-competizione simbiotica con i nuovi «intrusi genetici» dell’ecosistema, le alleanze strategiche si configurano tuttavia come una delle opzioni di crescita meno studiate e comprese, pur a fronte delle notevoli potenzialità di flessibilità, efficacia e successo nella pianificazione, gestione e realizzazione di un valore aggiunto condivisibile da tutte le controparti partecipanti. Le alleanze strategiche sono infatti, ancora oggi, la Cenerentola del settore bancario di Eurolandia, in attesa del Principe azzurro capace di trasformarle in principesse, mutando i topi in cavalli e le zucche in carrozze regali.

 

3. Alliance-mania: necessità o virtù

Per immaginare che cosa potrà accadere alla Cenerentola invitata al gran galà di Eurolandia è sufficiente guardare oltreoceano, al settore bancario nord-americano in cui è in atto, ormai da alcuni anni, un processo di liberalizzazione interno dei servizi finanziari che, oltre ai fenomeni di merger-mania oramai ben noti, sta determinando anche un’ondata di alleanze: da poco meno di 100 nel 1994 a più di 700 nel 1997, con una media di oltre 30 alleanze ciascuna – diffuse per tutte le linee di business – per le prime 50 banche degli Stati Uniti d’America. Un’alliance-mania, dunque: ma per moda, necessità o virtù? Per scoprirlo occorre esaminare più in dettaglio iI contesto (con chi?), il contenuto (per cosa?) e i primi risultati (con quale successo?) delle alleanze strategiche avvenute nel settore bancario nord-americano.

Con chi? A conferma della nostra ipotesi di partenza, è il modello del «Paguro Bernardo» che trionfa. Oltre l’80% delle alleanze è infatti avvenuta tra banche e operatori extra-bancari «newcomers», per usare un termine anglosassone; «intrusi simbiotici», per usare un termine della biologia evoluzionistica:

  • Il 20% delle alleanze con altre banche viene tipicamente realizzato attraverso consorzi multipli;
  • il rimanente 80% delle alleanze avviene:
  • per il 30% con concorrenti diretti, ovvero con operatori extra-bancari già penetrati e operativi nell’ecosistema dei servizi finanziari nord-americani (assicurazioni, società di brokeraggio, credit card companies, ecc.);
  • per il 50% con operatori extra-bancari di industrie convergenti (intrusi simbiotici che non sono ancora presenti, ma che lo saranno presto).

Appare infatti conveniente «prevenire», piuttosto che «curare», quegli intrusi genetici che – provenendo da altre industrie tradizionalmente distinte e separate – possono in qualche modo attaccare e appropriarsi di parte del valore generabile dal settore bancario. Molte banche hanno infatti una gamma di concorrenti ben definita, che tengono d’occhio e prendono come riferimento. Ma spesso l’universo di osservazione è troppo piccolo e ristretto. L’erosione e l’appropriazione del valore arriva a volte non dai concorrenti tradizionali (le stelle della «Via Lattea»), ma da stelle sconosciute – appartenenti ad altre galassie – che possiedono nuovi e più efficaci modelli di business. Il valore allora migra verso un nuovo universo, rendendo sterile quello originario.

Per cosa? Vi sono due fondamentali opzioni di sviluppo delle alleanze strategiche (di difesa o di attacco), da incrociare con i tre possibili obiettivi di:

  • raggiungimento di economie di scala, per lo sfruttamento delle economie di costo collegate (alleanze «di scala»);
  • sviluppo e assemblaggio (bundling) di prodotto, per la copertura della gamma prodotti/servizi offerti (alleanze «di prodotto»);
  • raggiungimento di economie di scopo, per il rafforzamento del presidio distributivo (alleanze «di canale»).

Con quale successo? Le banche nord-americane che hanno sviluppato più alleanze hanno impiegato meno capitale, creando maggior valore economico aggiunto per i propri azionisti. Il gap – misurato in termini di Roe (Return on equity) – tra il rendimento sul capitale proprio ottenuto dalle 25 banche più attive nello sviluppo di alleanze e le 25 meno attive è stato pari a circa 7 punti percentuali nel 1996 (17% contro 10 a fronte del 12% della media delle prime 100 banche nordamericane). Le banche con un ampio portafoglio di alleanze hanno sperimentato maggiori ritorni sulle risorse finanziarie investite, tipicamente a causa dei minori assorbimenti di capitale di rischio (denominatore del Roe). Vale a dire, le alleanze strategiche sa anno forse una moda del momento, o una necessità per difendersi dall’arrivo di nuovi intrusi extra-ban cari; ma sono certamente anche una virtù, perlomeno agli occhi degli azionisti, di quelle banche che hanno deciso di abbandonare almeno in parte il modello di business «Ameba», per conce trarsi anche su quello del «Paguro Bernardo».

4. Due strategie per tre possibili obiettivi

A seconda di necessità o virtù, le strategie difensive o offensive (rispettivamente) si incrociano con tre obiettivi, per creare valore attraverso lo sfruttamento delle economie di scala, il bundling di prodotto e il rafforzamento del presidio distributivo.

Alleanze di scala. Agli strumenti classici per raggiungere economie di scala (fusioni, acquisizioni, crescita interna) si aggiungono le alleanze strategiche, secondo due, distinte e complementari, modalità, e una terza che è combinazione delle prime due:

  • la banca può «comprare scala» (insourcing) da altre banche o da altri operatori extra-bancari. L’insourcer cerca di incrementare la propria dimensione in una o più aree di business per raggiungere la massa critica, cogliere efficienze di costo e aumentare la propria competitività (ad esempio, First Data);
  • la banca può «vendere scala» (outourcing) ad altre banche o ad altri operatori extra-bancari. L’outsourcer esternalizza, in cambio di un profitto, parti di business per uscire da aree in cui manca delle dimensioni critiche per ave re successo (ad esempio, JP Morgan);
  • la banca può contemporaneamente «comprare e vendere scala» (insourcing-outsourcing combinato), ricomponendo dinamicamente la propria catena del valore a seconda della convenienza economica e della valenza strategica di ciascuna componente produttiva-distributiva della stessa.

Il caso First Data (figura 1) è emblematico di una strategia mista di alleanze/acquisizioni mirata al raggiungimento di economie di scala, che le ha permesso di crescere velocemente, divenendo in pochi anni il principale global player nel business delle elaborazioni (processing) inerenti alle carte di credito. Negli ultimi due anni, First Data ha stipulato accordi di insourcing con altre 13 banche. Negli ultimi sei anni, ricorrendo aggressivamente allo strumento delle alleanze strategiche, First Data ha aumentato la sua quota di mercato dal 20 all’80%. Questi risultati sono tanto più impressionanti se confrontati con State Street, che, non ricorrendo ad alleanze strategiche, ha dovuto impiegare oltre 40 anni per trasformarsi da banca commerciale in global player nel business delle elaborazioni di back-office, offrendo servizi di custodia e amministrazione ad altre banche e aziende industriali. Vale a di re, le alleanze strategiche non sono necessarie, a patto di avere molta pazienza.

A testimonianza delle economie di scala perseguibili tramite lo sviluppo di alleanze strategiche – attraverso il ricorso incrociato e contestuale di strategie di insourcing/outsourcing – Mellon Bank è invece riuscita ad aumentare i volumi gestiti nei propri core business (insourcing), riducendo i costi per tutte quelle attività in cui la banca non vanta competenze distintive (outsourcing).

Vi sono tre trend strutturali (figura 2) che interessano le alleanze di scala e, più in generale, la definizione delle strategie di insourcing-outsourcing delle banche europee e nord-americane:

  1. l’allargamento delle alleanze di scala anche ad attività più vicine ai core business tradizionali o innovativi delle istituzioni finanziarie (ad esempio, il recupero crediti, o l’asset management);
  2. l’estensione degli accordi a un numero sempre maggiore di partner industriali (alleanze strategiche multipartner);
  3. il sempre maggiore impegno reciproco per l’ottenimento (e la condivisione) dei risultati da parte di tutti i partner industriali partecipanti all’accordo.

Alleanze di prodotto. Le alleanze di prodotto sono volte a rafforzare e ad estendere l’offerta delle banche alla propria clientela e, in particolare, ai segmenti target di quest’ultima. Il bundling di prodotto raggiungibile attraverso accordi multi-partner presuppone spesso l’evoluzione della logica gestionale da un’ottica di prodotto a una di cliente/bisogno; e da una logica di bisogno «finanziario» a quella di bisogni «allargati» (finanziari ed extrafinanziari), per la soddisfazione di veri e propri «progetti di vita» (intention) della clientela target. l progetti di vita rappresentano obiettivi (bisogni) fondamentali della clientela, il cui raggiungimento (soddisfacimento) richiede una pianificazione e un coordinamento estesi, che interessano molteplici dimensioni, finanziarie ed extrafinanziarie. Le intention possono ad esempio riguardare: un obiettivo di «terza età felice», un progetto di sviluppo professionale, o di vita familiare.

Il caso Merrill Lynch (figura 3) è emblematico; la banca d’investimento nord-americana ha infatti stretto una serie di alleanze con operatori bancari ed extra-bancari per sviluppare un’offerta integrata di prodotti e servizi atta a soddisfare un obiettivo di terza età felice. Merrill Lynch offre oggi un innovativo servizio che offre alla propria clientela target – a fronte di una commissione fissa di circa 500 dollari l’anno – l’accesso illimitato a una serie di prodotti/servizi finanziari ed extra-finanziari che la possono assistere:

  • nella pianificazione dell’inizio della quiescenza professionale;
  • nel coordinamento dei diversi prodotti e servizi di cui potrà necessitare, una volta raggiunta la pensione, per la realizzazione di una terza età felice.

I prodotti/servizi possono ad esempio riguardare:

  • l’investimento della liquidità e la gestione patrimoniale (prodotti/servizi finanziari);
  • ma anche la gestione e il coordinamento dei servizi in formativi e medici (prodotti/servizi extra-finanziari).

Anche Key Corp., uno dei maggiori finanziatori di fondi per le piccole e medie imprese, ha scelto di sviluppare la propria logica di gestione, evolvendo il proprio intento strategico da un’ottica tradizionale di «specialista di prodotto» a una più innovativa di «specialista di cliente». Per questo motivo, Key Corp. si è fatta a carico di guidare, gestire e coordinare lo sviluppo di una serie di alleanze strategiche mirate allo sviluppo di un’offerta integrata di prodotti/servizi finanziari ed extra-finanziari destinati alle Pmi. In questo modo, nell’ottica di interfaccia unica nei confronti del cliente servito, Key Corp. ha «aggiunto valore», offrendo un unico accesso semplificato ai molteplici prodotti (carte di debito, finanziamenti, ecc.) e se vizi (training per il management, servizi di back-office, ecc.) necessari alle Pmi per la realizzazione di un loro «progetto di vita», legato ad esempio, al loro sviluppo imprenditoriale, al loro consolidamento e alla sopravvivenza nei rispettivi mercati di riferimento.

Il nuovo intento strategico di Key Corp. (Figura 4), oltre che essere percepito come a maggior valore aggiunto dalla clientela, è stato però anche interpretato come «invasione dicampo», in aree di business tradizionalmente ben presidiate da altri specialisti di prodotto (ad esempio, At&t, Microsoft e American Express). Questi ultimi, scegliendo a loro volta di evolvere il proprio intento strategico in ottica di specialisti di segmenti di clientela target, hanno risposto integrando la loro offerta di prodotti e servizi finanziari ed extra-finanziari, via alleanze strategiche. Vale a dire, se la tradizionale concorrenza «prezzo contro differenziazione» delle istituzioni finanziarie «monolitiche» va oramai scomparendo, quella tra alleanze eterogenee e cross-industry per l’assemblaggio della migliore offerta integrata destinata ai segmenti di clientela target è viva e vegeta, e pronta ad affermarsi come nuovo paradigma di mercato già nel breve periodo.

Alleanze di canale. Le alleanze di canale, volte a rafforzare il presidio distributivo, sono prevalentemente indirizzate secondo tre, distinte direzioni:

  • le alleanze per lo sviluppo dei canali elettroni ci sono generalmente mirate all’innovazione o all’estensione degli strumenti di comunicazione/distribuzione del «virtual banking» (telefono, Atm, Internet, servizi on-line proprietari, ecc);
  • le alleanze per lo sviluppo dei canali destinati al largo consumo sono invece rivolte all’innovazione o all’estensione degli strumenti di comunicazione/distribuzione del «supermarket banking» (supermercati, grandi magazzini, centri commerciali, ecc.);
  • le alleanze per lo sviluppo dei canali di rivendita sono infine rivolte alle catene distributive al dettaglio, a discount store e ad altre società operanti – spesso con brand proprio – nel business del re-selling dei servizi finanziari «re-selling banking»).

A conferma dell’ipotesi di partenza (l’evoluzione e le mutazioni nell’ecosistema dei servizi finanziari è in larga parte determinato da intrusi genetici), si tratta tipicamente – per tutte e tre le tipologie – di alleanze con operatori extra-bancari:

  • la prima modalità di alleanza per lo sviluppo di canali di virtual banking si realizza generalmente con aziende di servizi informatici e di telecomunicazioni (fase della catena del valore: produzione);
  • la seconda e la terza riguardano invece le aziende operanti nella vendita e nella commercializzazione (fase della catena del valore: distribuzione).

Anche Wells Fargo ha scelto di crescere e di creare valore – oltre che con acquisizioni difensive di altre banche – attraverso una strategia di sviluppo aggressivo della distribuzione multicanale, abilitata da un mix sapientemente bilanciato di alleanze lungo tutti e tre i fronti, e con il duplice obiettivo di servire meglio (fidelizzando) la clientela attuale e di aggredire (acquisendo) nuovi segmenti di clientela target. Wells Fargo ha oggi un rapporto tra Atm e sportelli tradizionali in eccesso di 4 a1; quello tra Atm e totale sporteIli complessivi (in store tradizionali) è superiore a 2,5.

 

5. Anticipare la migrazione del valore

Nella nuova Eurolandia, le alleanze strategiche diventano una leva importante per rafforzare il posizionamento competitivo delle banche e anticipare la «migrazione» del valore, a opera di intrusi genetici, verso altre industrie. L’europeizzazione dei mercati e la virtualizzazione della società determineranno infatti quelle condizioni ambientali che facilitano l’ingresso, nell’ecosistema dei servizi finanziari, di geni parassiti e simbiotici. I primi determineranno una perdita significativa e permanente nel valore creato dall’industria bancaria; i secondi, se cooptati attraverso forme di alleanze strategiche (sia difensive che offensive) di scala, prodotto o canale, potranno invece cooperare – in modo competitivo – per l’individuazione, la realizzazione e lo sfruttamento di nuove fonti di valore. Per questo motivo, la capacità di gestire le alleanze – non solo difensive, ma anche di attacco – focalizzandosi eventualmente, in un primo momento, su un solo fronte, diventerà una competenza chiave per le banche che vorranno assicurarsi il successo – e la sopravvivenza – nei nuovi mercati di Eurolandia. Ma, se anticipare la migrazione del valore dall’industria bancaria rappresenta già da oggi una necessità, lo sviluppo di «alleanze di attacco globali» rappresenta forse ancora solamente una virtù, che implica notevole impegno e dedizione da parte del management della banca, e un significativo rischio realizzativo. Sviluppare alleanze di attacco su ciascuno dei tre principali fronti significa infatti aprire la propria arena competitiva ad altri concorrenti extra-bancari caratterizzati da modelli di business inediti, scarsamente noti e poco compresi. Per poter gestire quest’apertura con successo occorrono quindi, oltre a un intento strategico preciso, diverse e potenti strutture organizzative e operative abilitate e dedicate alla gestione delle alleanze stesse (figura 5).

Nationsbank rappresenta ad oggi uno dei pochi casi di successo nella gestione globale delle alleanze come micidiale «arma competitiva» di attacco. Anche negli Stati Uniti, infatti, la sfida della globalizzazione, della virtualizzazione e della deregolamentazione dei mercati si è tradotta in migrazioni, a volte subitanee e violente, di valore economico e di ricchezza, tra le di verse industrie e per le differenti nicchie biologiche all’interno di ciascuna. A queste ultime, le banche nord-americane hanno generalmente risposto attraverso strategie di consolidamento e taglio dei costi, ricorrendo più spesso a ristrutturazioni e ad altre operazioni di finanza straordinaria (M&A). Nationsbank ha invece saputo realizzare – parallelamente a una strategia fortemente mirata all’acquisizione di altre banche – un’altra strategia globale di alleanze con operatori extra-bancari. La strategia viene giudicata «globale» perché ha interessato contestualmente tutti e tre i fronti delle alleanze di scala, di prodotto e di canale, sfruttando in particolare un dedicato «alliance-engine» (motore delle alleanze strategiche) sviluppato dalla banca nord-americana, focalizzato sulla velocità di esecuzione delle sinergie industriali previste e sull’anticipazione dei benefici ottenibili dagli accordi raggiunti.

Come principale risultato, in soli 15 anni Nationsbank si è evoluta da piccola banca di provincia fino a divenire la principale banca degli Stati Uniti. Lungo la strada, Nationsbank ha acquisito – pagando quasi sempre con azioni, e mai per cassa – oltre 160 banche (buon’ultima la Bank of America, attraverso un «merger of equals» attivo dal 1° novembre 1998). Ma oltre a questo, Nationsbank ha anche sviluppato – sfruttando al massimo il suo motore delle alleanze – accordi strategici a dozzine, e con primari partner industriali. La natura meno clamorosa e spesso più nascosta degli accordi raggiunti tramite le alleanze strategiche ha però fatto passare in secondo piano quest ‘ultimo strumento di crescita e di creazione di valore, a favore delle notizie maggiormente glamorous di M&A, immediatamente raccolte e diffuse sulle pagine dei principali business magazine internazionali.

Prendendo spunto dal caso Nationsbank, il motore delle alleanze strategiche per massimizzare il valore del proprio portafoglio di alleanze può essere strutturato secondo quattro fasi principali. Le prime due (più tradizionali) riguardano lo sviluppo e la gestione continuativa dell’accordo. Le due successive (più innovative) riguardano il coordinamento complessivo e l’acquisizione ed istituzionalizzazione del know-how generato dall’alleanza:

  1. la fase di sviluppo dell’accordo a partire dalla concettualizzazione del modello di alliance engine adottato dalla banca, comprende la selezione (screening) e la negoziazione (negotiation) delle possibili sinergie industriali. La fase si conclude con la strutturazione (deal mak ing) e verifica (due diligence) dell’accordo;
  2. la fase di gestione continuativa sviluppa e gestisce su base continuativa le relazioni con gli altri partner industriali, monitorando il valore economico progressivamente generato e l’evoluzione dell’alleanza nel tempo;
  3. la fase di coordinamento si occupa della supervisione di tutti i progetti in corso tra la banca e i partner industriali, assicurando la completa individuazione delle opportunità strategiche e il loro pieno sfruttamento operativo;
  4. la fase di gestione della conoscenza si preoccupa di acquisire il know-how generato, predisponendo le metodologie e gli strumenti standard da utilizzare per la gestione di nuovi futuri accordi industriali. Il knowledge capitaI costituisce in effetti il combustibile che alimenta il motore delle alleanze strategiche.

Non solo in Nordamerica, ma anche in Italia sono tuttavia state sviluppate e realizzate alleanze sui vari fronti. Solo alcune delle iniziative in corso sono comunque inquadrabili come alleanze strategiche, ovvero conseguenti a un preciso modello di business perseguito. Le altre sono invece più correttamente interpretabili come semplici alleanze tattiche, dettate da opportunità di breve periodo, sporadiche e generalmente intraprese per iniziativa de i singoli, piuttosto che nel contesto di un preciso disegno strategico che si proponga di fare seriamente leva su questo strumento di competizione.

 

6. Alleati e vincenti: un nuovo paradigma per il nuovo millennio

Nell’interpretazione «evoluzionistica» dell’industria bancaria in veloce e profonda trasformazione, le alleanze strategiche rappresentano l’elemento abilitante dei futuri modelli di business vincenti. Le alleanze strategiche, Cenerentole al gran ballo di gala di Eurolandia, baciate da qualche Principe azzurro «intruso genetico», si trasformano rapidamente in principesse capaci di identificare e realizza re soluzioni di valore per tutti i partner industriali partecipanti. Ma per partecipare con successo al gran ballo di gala, le banche italiane dovranno prima di tutto saper scegliere, oltre che i partner «accompagnatori» di riferimento, anche il proprio ruolo da giocare lungo la catena del valore dei servizi finanziari.

Le banche italiane, scegliendo di focalizzarsi sulle proprie competenze distintive, e gestendo in outsourcing le rimanenti fasi della catena del valore, possono infatti rivestire, come «pure player», uno dei seguenti ruoli:

  • come specialisti di processo, le banche italiane si focalizzeranno sull’obiettivo della massima efficienza della struttura dei costi e sull’eccellenza (six sigma quality) del servizio. Le alleanze strategiche di scala permetteranno loro di scegliere quali funzioni gestire internamente, e quali invece terziarizzare in outsourcing;
  • come produttori puri (fabbriche di prodotto), le banche italiane si focalizzeranno sull’eccellenza dei prodotti/servizi da queste ideati, sv iluppati e realizzati. Le alleanze strategiche «di prodotto» offriranno loro una conveniente e veloce alternativa per realizzare bundling competitivi e attraenti;
  • come distributori puri (supermercati, boutique e discount store di vendita e commercializzazione), le banche italiane si focalizzeranno sul presidio distributivo del mercato servito. Potranno, in questo senso, ricorrere sia ad alleanze di scala (per l’outsourcing della gestione delle operations e delle infrastrutture), di prodotto (per il bundling di offerte integrate di prodotto/servizio), o di canale (per la realizzazione di una strategia distributiva multicanale a elevato contenuto tecnologico);
  • come gruppi multibusiness integrati verticalmente, potranno infine decomporre strategicamente la catena del valore, scegliendo opportunisticamente – e dinamicamente nel tempo la gestione in ottica Buy-Build-Borrow delle singole fasi, integrando quindi i processi aziendali di M&A finanziario, di crescita interna e di sviluppo delle alleanze strategiche.

Quest’ultimo modello – certamente il più ambizioso – sarà guidato da una filosofia di value-based alliance management, per la decomposizione strategica della catena del valore e la gestione opportunistica delle sue diverse fasi (figura 7).

Tutti e quattro i modelli, tuttavia, presuppongono a ben vedere una strategia di alleanze volta ad abilitarne la realizzazione concreta. Ad esempio, una banca retail locale potrà divenire pure player nella distribuzione, alleandosi con altri pure player produttivi e infrastrutturali. Oppure, un produttore puro potrà a sua volta terziarizzare il processing e la produzione, alleandosi con altri distributori (Amex- Db). Infine, un gruppo multibusiness potrà stringere delle alleanze per quelle aree che non ritiene di poter presidiare da solo, per mancanza di competenze specifiche e di expertise professionali a livello world-class.

Vi sono tuttavia, per tutti e quattro i modelli , alcune ritrosie culturali nei confronti delle alleanze che dovranno essere superate dalle banche italiane per poter sfruttare appieno gli innumerevoli e significativi vantaggi – oggi in gran parte solo potenziali – offerti dalle alleanze strategiche, in uno scenario futuro caratterizzato dalla imminente europeizzazione e dalla sostenuta innovazione delle scienze dell’informatica e delle telecomunicazioni:

  • il paradigma del «faccio tutto in casa, perché così ho più garanzie e controllo», sarà superato dall’adagio «mi focalizzo sulle mie core capability, e faccio alleanze sul resto»;
  • la logica di sviluppo «se riesco, cresco internamente oppure acquisisco», sarà superata dal principio gestionale secondo il quale «(eventualmente) acquisisco banche, e mi alleo con gli altri operatori extra-bancari»;
  • il modello di business «Ameba», «tutti gli intrusi sono nemici, da uccide re o da inglobare») sarà superato dal nuovo modello di business «Paguro Bernardo» («esistono intrusi simbiotici che va le la pena di farsi alleati; solo con questi potrò sopravvivere alle mutazioni dell’ambiente, ricreando una nicchia biologica a me ospitale»).

In conclusione, le alleanze, se ben pianificate e gestite, rappresentano una leva fondamentale per il rafforzamento della posizione competitiva delle banche italiane, e anche un ottimo strumento per l’individuazione, realizzazione e sfruttamento di inedite fonti di creazione di valore, per le istituzioni finanziarie, e per i loro intrusi simbiotici di tutte le dimensioni: super-regionali e globali ; ma anche regionali e locali. La gestione delle alleanze diventa per questo una competenza chiave del management delle banche di successo, in quanto capace di abilitare alla costruzione di innovativi e competitivi modelli di business. Solo lo sviluppo di modelli di business simbiotici rispetto all’inedito ecosistema circostante e ai nuovi intrusi genetici potrà permettere alle banche italiane di anticipare proattivamente la migrazione di valore economico e di ricchezza dal settore bancario verso nuove industrie, pronte a divenire in breve tempo dirette concorrenti dei servizi finanziari tradizionali. Solo lo sviluppo di una mentalità aperta alle opportunità offerte dalla terza B dimenticata (quella di «Borrow ») e alle possibilità di mutazioni dell’ambiente, tollerante, infine, e ben disposta a imparare anche dai nuovi intrusi genetici, potrà garantire alle banche italiane il successo e la sopravvivenza. In altre parole, «alleati e vincenti» potrebbe ben presto di venire il nuovo paradigma dei mercati e delle società nella nuova Eurolandia e nel nuovo millennio: «if no one can do it a ll, then borrow».

Marco Vigorelli

Orio Pontiggia

Claudio Scardovi

Alberto Buffa di Perrero

Andersen Consulting Strategic Services

Note
[1] D. Deutsch, The fabric of reality, Penguin, 1997.
[2] R. Dawkins, The selfish gene, Oxford University Press, 1982.
[3] L’ameba è un organismo unicellulare che cresce e muta continuamente di forma uccidendo e quindi inglobando a blocchi altri protozoi ad esso simili.
[4] Il paguro bernardo è un animale marino dei crostacei, con addome molle e ricurvo che il paguro infila simbioticamente nella conchiglia vuota di un gasteropode, mimetizzandosi quindi nell’ambiente circostante.

Alleanze strategiche nei servizi finanziari: una leva fondamentale per il rafforzamento delle banche italiane

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Alleanze strategiche nei servizi finanziari: una leva fondamentale per il rafforzamento delle banche italiane

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