Prudenza e management delle emozioni

L’arte di saper vedere le cose e di gettare ponti

L’etica del lavoro e il lavoro eticamente portato a compimento sono il frutto di una scelta di campo operata dall’individuo nel suo tentativo di trovare risposte ad alcune domande fondamentali.

Quale senso e valore ha il mio lavoro? Quale è il bene che posso raggiungere attraverso il mio lavoro? E come lo posso ottenere?

Le risposte a queste domande mettono in evidenza la differenza tra un problema di scelta e un problema di decisione. Scegliere spesso significa selezionare l’opzione migliore tra quelle già note sulla base di una certa regola e vincolati all’obiettivo da raggiungere. Nello specifico, risolvere un problema implica cercare la soluzione giusta all’interno di un dominio di certezze. Il problema di scelta, o problem solving, così definito, diventa caratteristico di una visione e di un senso del lavoro di breve periodo. In un problema di decisione, o decision making, l’atto di decisione è rappresentato da un ragionamento di scelta dell’alternativa più adeguata all’interno di una serie di opzioni. Prendere una decisione non implica in modo così vincolante un dominio di certezze, ma richiede una certa visione di lungimiranza. Il breve periodo si contrappone al lungo, la certezza all’incertezza, e di conseguenza, alla contrapposizione tra interessi individuali e quelli collettivi. Vi chiederete come queste tre forze siano tra loro legate all’etica del lavoro. Il legame è rappresentato dall’esercizio delle virtù e nello specifico nell’agire secondo prudenza.

La prudentia, da providentia, «guardare in avanti, vedere lontano», deliberare prendendo decisioni giuste e valutandone le conseguenze, è quindi strettamente legata alle nozioni di responsabilità e di corretta o attendibile conoscenza della realtà non minata dall’autoinganno. Di questi tempi la prudenza non pare certo una virtù particolarmente apprezzata dalla maggioranza delle persone. Oggi al prudente si preferisce semmai il trasgressivo, colui che non teme il rischio; mentre in antico la prudenza era ritenuta simbolo/espressione di saggezza, di ottimale capacità di gestire sia se stessi che gli altri.

Il punto è riuscire a capire alcune questioni fondamentali di partenza: innanzitutto, che parlare di prudenza non consiste solo nel contrapporsi al concetto di “rischio”, come sostengono gli economisti; in secondo luogo, che questa virtù rappresenta uno strumento fondamentale per riuscire ad andare al di là dei vantaggi a breve termine e avere una visione ampia e proiettata sul futuro.

Se si vuole “guardare lontano”, questa virtù è fondamentale: riportarla alla ribalta e dimostrarne l’urgenza (oggi più che mai) è la sfida che Stefano Zamagni ci propone nel suo libro Prudenza.

Nel suo stile lineare e ricco, il volume ci accompagna nel processo di comprensione di questa dimenticata virtù intellettuale e morale. Ma che cosa vuol dire essere prudenti? Con l’eccezione degli illuministi italiani (Genovesi, Galiani, Verri e Beccaria) e scozzesi (l’Adam Smith della Teoria dei sentimenti morali), i filosofi e gli economisti non hanno, da allora e in maggioranza, tenuto in gran conto la prudenza. Fino al 1500 la prudenza è sempre stata una virtù dominante. Nell’accezione aristotelica, la prudenza può essere intesa come la capacità di saper valutare questioni contingenti con riguardo a ciò che è buono e cattivo; la sua dote più interessante – sottolinea Zamagni – «è saper vedere le cose, le situazioni come sono, non come le fa sembrare la paura o come le deforma l’interesse proprio». Tutto cambia quando Machiavelli ricolloca la prudenza da virtù morale a strumento per la gestione del potere: diviene «arte per il calcolo e la gestione del potere». In breve, la prudenza serve al governante per mantenere e accrescere il potere; la virtù, se necessario, può essere sacrificata per la ragion di Stato. Da allora e successivamente con la rivoluzione marginalista in economia l’agire umano assume, di conseguenza, una dimensione astorica e si separa dalla virtù in quanto commisurazione di mezzi e fini. Il prudente è il timoroso, quello che non prende decisioni per paura di sbagliare, mentre in politica è quello che guarda alle prossime elezioni e non alle generazioni future: invece di chiedersi «cosa è bene che io voglia», mi domando invece «cosa devo fare per ottenere ciò che voglio».

 

Questa attitudine vale tanto nel lavoro e nella vita privata, quanto nella politica e nel management.

Juan Andrés Mercado, professore di Etica Applicata, ce lo ricorda quando riporta nel suo libro una celebre citazione di Peter Drucker sul senso del management: «il management si riferisce ad esseri umani. È suo compito far sì che le persone siano capaci di attività congiunte, provvedere a che i loro punti di forza (strengths) siano effettivi e le loro debolezze irrilevanti».

Per Mercado il manager deve essere portatore sano di virtù o eccellenze del carattere, come le chiamavano gli autori classici.

Tali perfezioni rendono la persona capace di portare avanti progetti ambiziosi armonizzando le proprie emozioni. Mercado riprende un punto evidenziato nel pensiero di Zamagni, che identifica nella paura, più in generale nelle emozioni mal indirizzate, e nell’individualismo estremo, i limiti della buona gestione e del buon lavoro operato dagli individui. Emozioni e individualismo sono le protagoniste del suo Il management delle emozioni. Felicità e virtù tra antico e moderno. Questa armonizzazione tra ambizione ed emozioni è indispensabile per poter prendere decisioni sullo sfondo della domanda fondamentale, «che tipo di persona voglio essere o diventare attraverso questa attività?». Le scoperte della Psicologia positiva offrono riscontri importanti sul peso che hanno le diverse qualità del carattere per condurre una vita coerente e avvicinarsi all’ideale classico di felicità. Mercado passa in rassegna tutte le virtù cardinali, ci mostra il loro valore pratico, la loro presenza in ogni nostra decisione quotidiana, personale, lavorativa e civica, e la loro importanza nel discernere e motivare diversi percorsi di vita che ci si prospettano. Tra tutte le virtù presentate mi soffermerò, anche qui, sulla prudenza perché come riporta Zamagni, la prudenza è «virtù trasformatrice della realtà, sia personale sia sociale» nel suo essere al tempo stesso verità e giustizia, e dunque legata rispettivamente a intelletto e volontà. E per questo Mercado propone la prudenza, o saggezza, come la prima delle virtù da analizzare.

L’esercizio della prudenza si esplicita non solo nel sapere, ma soprattutto nel saper fare, nel decidere e agire. In questa prospettiva, ci dice Mercado, la prudenza si rivela come capacità di valutare e ordinare i mezzi e le azioni in vista di un fine. La prudenza è “l’executive manager” che mira al futuro perché in qualche modo lo anticipa e lo afferra nel prospettarlo. E il prudente è la persona che sa di dover portare la propria persona e la propria situazione dal punto A, quello attuale e noto, al punto B, incerto e futuro. Il prudente è un costruttore di ponti tra l’oggi e il domani, è il lungimirante che fatta esperienza del suo passato e raccolto tutta l’informazione necessaria inizia a progettare, prima, e costruire poi. Attraverso la prudenza, secondo Mercado e la psicologia positiva, si alimentano la speranza, la motivazione e la creatività.

E in questo dinamismo la prudenza, non solo si sveste del suo abito smorto, cucitole addosso fin dai tempi di Machiavelli, ma ne indossa uno nuovo, più ricco. La prudenza non solo diventa virtù intellettuale e morale del singolo individuo, ma anche collettiva. È certamente utile avere un atteggiamento prudente nella nostra vita privata, ma non basta a risolvere il conflitto tra gli interessi del singolo e quelli della collettività. Infatti, la vera scommessa è applicare la prudenza alle istituzioni, alle imprese e alla società: solo così si potrà agire con lungimiranza e perseguire il bene comune. Nelle parole di Zamagni, «la prudenza è pienamente tale quando è virtù civile, quando cioè il suo campo di applicazione è la civitas, la città con le sue istituzioni. Non c’è vita buona in isolamento, fuori dello sguardo dell’altro. Prudente, dunque, è chi eccelle nell’arte di gettare ponti e di costruire relazioni umane, perché è solo nella vita in comune che l’essere umano – animale sociale – può fiorire in pienezza».

 

Francesca Lipari

Phd Università di Tor Vergata (Roma)

Ricercatrice, FMV e Assegnista di ricerca, Lumsa

 

Prudenza, di S. Zamagni

Bologna: Il Mulino

2015, pp. 128, € 12,00

 

 

Il management delle emozioni. Felicità e virtù tra antico e moderno

StreetLib Write

2017, pp. 162, € 1,49