Sei donne ad una tavola rotonda coordinata da un solo uomo. Imprenditrici, manager e conciliazione lavoro-famiglia: la sfida è vinta?
Donne imprenditrici, manager e famiglia: è una sfida vinta? La sfida non è per nulla vinta secondo Andrea Purgatori, unico uomo invitato a moderare una tavola rotonda di sole donne, che si sono confrontate lo scorso 6 aprile in un incontro organizzato dall’UCID Roma, presso la sede di Palazzo Altieri di Banca Finnat.
La necessità è quella, sempre più urgente, di esercitare il diritto al lavoro e allo stesso tempo il diritto alla maternità, come ha chiarito da subito Diego Barbato, presidente dell’UCID. La sfida non è vinta, d’accordo, e prima ancora di cominciare questa tavola rotonda è stato quasi da tutti espresso con chiarezza, ma la posizione che tante donne ricoprono nel contesto professionale e un po’ anche politico dà qualche possibilità in più per il futuro.
Contrastanti in realtà, anche su una tale considerazione, i vari pareri, il che probabilmente ha rappresentato una ricchezza in più per l’uditorio. Poter vedere che ci si confronta, che non si è d’accordo, che si scoprono limiti e si definiscono frontiere in cui il dialogo è possibile – specie tra donne e in contesti professionali – è già, ai nostri giorni, una piccola sfida vinta.
La prima invitata a prendere la parola è Fabrizia Ingenito, Presidente 2012 ICF International Coach Federation Italia. Da sempre impegnata in progetti che mettono al centro la persona e il suo sviluppo, si dice dispiaciuta per non aver focalizzato espressamente l’attenzione su temi che riguardavano soprattutto le donne. Mamma di tre figli, oltre che professionista, per la Ingenito il problema delle donne e del lavoro è culturale e non politico. Per questo, se potesse tornare indietro nella sua vita professionale, farebbe sentire la sua voce in modo diverso, più forte, perché per le donne la scelta per la famiglia è un valore da difendere. Tanto più che dare voce femminile non è importante solo per le donne, ma anche per la vita dell’azienda.
La più giovane al tavolo è Monica Archibugi, Ceo e Co-founder de Le cicogne Srl, un servizio di baby sitter al passo coi tempi: da prenotare via app o telefonicamente. Necessità occasionali, part time, full time, anche con soluzioni fino a 30’ prima della necessità. Ottantatré le città italiane al momento coperte dal servizio: Monica è partita con Roma e Milano e adesso la sua azienda copre l’intero territorio nazionale. Le necessità sono differenti da regione a regione, ma la chiave del successo in questa sua professione è scegliere sempre e comunque con la consapevolezza che la scelta è nostra e nessuno ce la potrà mai togliere. È vero che si tratta di un fattore culturale, ma è anche vero che siamo noi a fare la cultura, noi la politica, noi, uomini e donne. Senza discriminazione. Delle 7 persone che lavorano con lei 5 sono donne e 2 uomini: e ognuno dà ciò che ha.
Laura Bosetti Tonatto, amministratore e socio unico di UNA Srl è anch’essa portatrice, per la sua esperienza, di due messaggi molto forti in tema di lavoro e femminile: noi dobbiamo sviluppare il lavoro che amiamo, anche se il mondo professionale a cui aspiriamo spesso ha una connotazione tipicamente maschile; e non dobbiamo rassegnarci al fatto che in questi contesti, ma non solo, spesso lo stipendio di una donna è ancora inferiore del 25% rispetto a quello di un uomo che si trova nella stessa posizione professionale. I temi della responsabilità e del tempo che una donna vive in famiglia sono gli strumenti più importanti che possiamo usare per aspirare ad una parità professionale.
La tavola rotonda si accende con l’intervento di Stefania Brancaccio, Vice Presidente Coelmo Spa, un’esperienza, la sua, che la dice lunga sulla sfida non vinta delle donne nei confronti del lavoro. Laureata in filosofia, è alla guida di un’azienda metalmeccanica: quanto di più maschile forse si può pensare in termini professionali. Non ha vergogna di dire che è riuscita a gestire il proprio tempo perché era proprietaria dell’azienda e per questo ha avuto modo di donare quello stesso tempo di cui poteva disporre alle sue collaboratrici. Oggi, nella sua realtà – una realtà difficile del Mezzogiorno d’Italia, in cui il problema dei sindacati e dello stato non chiarisce alcuni termini fondamentali in tema di opportunità professionali e di lavoro – da capo, dà la possibilità alle donne di gestire da se stesse il proprio tempo. E soprattutto di farlo in un’ottica di sostegno reciproco (in una forma della banca del tempo condivisa tra lavoratrici). Ma la sua posizione è di aperta denuncia nei confronti di uno stato che non sostiene le piccole e medie imprese, specie al Sud, e in cui la sua azienda ce l’ha fatta perché ha operato “artigianalmente”, con una gestione serena e tranquilla, che con le sue sole gambe è arrivata laddove poteva arrivare, con uno sguardo sempre fisso alle necessità dei dipendenti.
Con esperienze, posizione e consapevolezze abbastanza diverse, Daniela Quaranta Leoni, Direttore Area Sviluppo Economico Unindustria Roma-Frosinone-Latina-Rieti-Viterbo. Non è il caso di essere così pessimisti, ma è necessario riconoscersi ottimisti, e forse anche realisti: la cesura degli anni Settanta e l’entrata delle donne nel mondo del lavoro, nonostante la loro rinuncia alla famiglia, le ha portate ad avere successo. E questo “sacrificio” non va sottovalutato in ottica di un risultato importante raggiunto. Lo dice una donna manager che non è mamma, ma che non per questo ha rinunciato ad una vita di coppia, e che non si vergogna di dire che la sua generazione ha avuto una facilità di ingresso nel mondo del lavoro: nel suo caso specifico grazie a buoni mentori che non l’hanno guardata come donna. Chi non ha figli – sostiene la Quaranta Leoni – vive una forma di “maternità senza sentimentalismo”. E l’impegno di una donna in tal senso potrebbe essere quello di far crescere professionalmente tante altre donne, con la consapevolezza che non è facile fare squadra al femminile. E che spesso la conciliazione non è solo un problema di figli da crescere, ma anche di anziani da accudire. E il welfare aziendale deve sostenere tutte queste categorie indistintamente.
Da ultimo la voce va alla grande azienda, Sanofi Italia, e al suo Direttore Relazioni Istituzionali Fulvia Filippini. In un contesto professionale come questo da tanti anni si cerca e si riesce a sostenere la donna. Perché è ovvio che le risorse economiche aiutano e che se anche la sfida non è ancora vinta forse la si può ancora vincere, o quantomeno si è sulla strada giusta. E in questo le grandi aziende possono passare sicuramente il testimone. Se la vision aziendale crede nelle pari opportunità e se noi donne siamo le prime a scegliere la strada di una leadership al femminile, possiamo pensare di raggiungere standard elevati. Lo smartworking in questo può aiutare e non bisogna solo guardare alle statistiche sull’occupazione femminile, ma anche ai ruoli manageriali che le donne ricoprono (da Sanofi, per esempio, si è raggiunto il 36%). In un sistema di business complesso come quello attuale, in cui per vincere bisogna mettere sul tavolo competenze diverse, un vero leader si riconosce perché è colui che aggrega e questo noi donne sappiamo farlo veramente bene.
Primo giro di boa e il tavolo si apre al dibattito.
Ci si sofferma anche sul “welfare familiare” di cui parla la Filippini (il sostegno che i genitori possono dare ai loro figli prendendosi cura dei nipoti), che ancora oggi è un’ancora di salvezza per tante famiglie. Anche se non va dimenticato che non tutte hanno questa fortuna, perché spesso i nonni oggi lavorano ancora, o si vive lontani dalla famiglia di origine; e se una baby sitter non te la puoi neanche permettere tutto diventa più impegnativo.
Un primo sforzo importante è richiesto quindi alla politica: la Quaranta è convinta che la contrattazione di II livello cambierà il mondo delle aziende italiane, in cui la voce welfare sta raggiungendo un posto preponderante; la Brancaccio, invece, richiede con forza uno stato che vada veloce, allo stesso passo dell’azienda, e che non abbia paura della famiglia.
Dal lato della cultura il cambiamento sembra ancor più difficile. Innanzitutto c’è da considerare il tema della conciliazione come un problema tanto per la donna quanto per l’uomo, perché non tutte le donne oggi vogliono lavorare da casa. E il gap in tema di genere sottolineato dalla Ingenito – che a livello lavorativo vede l’Italia al 69 posto in una classifica di circa 140 aree geografiche coinvolte – nasconde probabilmente un altro tema che spesso viene considerato poco e che la Tonatto sottolinea chiaramente. Alla fine di questa classifica sul gender gap, precisa, troviamo alcuni Paesi dell’Arabia Saudita, dove la condizione della donna è indice di un problema culturale molto forte: le donne hanno il passaporto da circa 6 anni, non guidano e non lavorano, ma possiedono il 48% dei depositi bancari. Sapete cosa chiedono con forza? Non di togliere il velo o di prendere la patente, ma di lavorare. La lotta per l’emancipazione passa quindi dalla professione.
La chiave è dunque culturale, al di là dei meccanismi politici e legislativi, perché se la leadership è un prendersi cura, le donne in questo possono veramente diventare maestre. E anche gli uomini lo sanno.
La conclusione viene per bocca di una voce che vuole dare speranza ai giovani: la Archibugi, dopo aver ascoltato grandi maestre di management riunite attorno a questa tavola rotonda, non può che esprimere il suo grazie, nella convinzione che già a partire dalla sua azienda cercherà di mettere in pratica quanto ascoltato in questa tavola rotonda.
È dai giovani che bisogna partire. E i più esperti in questo possono dare veramente un contributo notevole in tema di formazione. Bello che in questa tavola rotonda sia sembrato possibile: a partire da un dialogo così. Sulla persona, sull’impresa, sul management, sulla famiglia, su quella leadership che unisce tutti, donne e uomini. E da cui l’Italia deve ripartire.
FMV