La famiglia: relazione, riflessività e sussidiarietà

C’è ancora qualcosa di “nuovo” da dire sulla famiglia

Questa volta la guardiamo da un punto di vista nuovo, quello che la vede come nucleo fondamentale di produzione di benessere individuale, collettivo e sociale. La famiglia, luogo di relazione, riflessività e sussidiarietà. Questi sono i colori in cui la famiglia viene dipinta nel numero 28 dei Quaderni del Centro di Famiglia, a cura di Elisabetta Carrà dal titolo Family, care and work-life balance service. Case studies of best practices.

Questo libro è uno sforzo a più mani, o più menti, dovremmo dire, che mette in luce il valore intrinseco ed estrinseco ricoperto dalla famiglia in questioni di welfare, di servizi e politiche pubbliche e sociali volte ad aumentare o garantire il benessere della popolazione. Si analizza e si scruta l’intera società, non come sommatoria di singoli individui, ma come rete fatta di connessione tra i singoli e le loro unità familiari, in una rappresentazione retroattiva che va dall’individuale al collettivo, e viceversa, e che rende l’una necessaria all’altra tanto da rimettere in discussione quali siano i significati di welfare e di benessere.

La famiglia, che sia quella presente (quella che i nuovi quarantenni stanno cercando di mantenere in equilibrio), passata (ovvero quella rappresentata dai genitori delle generazioni più giovani) o futura (la famiglia che i trentenni stanno immaginando di costruire) determina quali politiche di welfare siano al servizio del benessere sociale e quali no. E la distinzione tra politiche di welfare efficaci agli obiettivi di benessere e politiche inefficaci, dipende soprattutto dalla stessa definizione dello strumento della politica e dell’obiettivo di benessere.

Se il welfare offre una connotazione oggettiva e materiale della qualità della vita dei cittadini, il benessere ne offre una soggettiva e multidimensionale che considera, tra le altre, la relazione e la cooperazione tra individui come elementi importanti per assicurare che un certo livello di qualità è stato raggiunto.

A questo punto, viene da chiedersi quale sia il nesso con la famiglia. Perché, usare la famiglia e un approccio relazionale nel valutare welfare e benessere? Per tre ragioni.

Primo, perché la famiglia rientra in una delle dimensioni che definiscono il benessere di un individuo. Ciascuno di noi vuole mantenere le diverse dimensioni (i.e. personale familiare, sociale, lavorativa) il più integrate possibile. In questo caso la famiglia ha valore intrinseco alla persona.

Secondo, perché i problemi sociali derivano da mancanza di capacità di coordinazione e cooperazione tra individui. La relazione viene meno, per cui agire sul singolo ha un effetto limitato, mentre è la stessa ricostruzione del legame, o la creazione di un obiettivo comune che spinga alla cooperazione, che diventa cura del problema. La famiglia è il primo luogo in cui si sperimenta naturalmente questo approccio cooperativo, per cui va considerata come soggetto delle politiche nella sua molteplice forma di organizzazione e come interlocutrice nel processo di creazione delle stesse. Il benessere osservato attraverso le lenti della famiglia, rende il processo, volto ad aumentare la qualità della vita, dinamico, non statico, e complesso, ovvero non lineare, riducendo l’efficacia di politiche standard da applicare in ogni settore sociale e lavorativo ma richiedendo interventi su misura.

Terzo, la società replica a grandi linee a livello macroscopico ciò che avviene a livello micro in famiglia. La cooperazione, vista in termini di cura dell’altro e di raggiungimento di un obiettivo comune avviene sia a livello intergenerazionale che intra-generazionale, in modo molto particolareggiato e specifico. Ma poiché il livello sociale non è capace di rappresentare tutte le peculiarità del micro, le dovute interferenze culturali rendono la relazione di rappresentazione micro-macro imperfetta. E questa imperfezione è la ragione per cui alcune regioni, paesi, rispondono in maniera più immediata di altri a politiche standardizzate. Questa imperfezione, che poi si trasforma in inefficacia, può essere risolta solo se si ascolta direttamente il livello micro che è a contatto ogni giorno con la peculiarità culturale del suo contorno, locale o regionale, solo se gli si riconosce sussidiarietà orizzontale.

Come conciliare il vecchio e il nuovo approccio al welfare nel definire quali siano le good practice da implementare? Con diverse analisi empiriche, sia qualitative che quantitative, esempi di buona politica vengono proposti e problemi aperti o proposte di rettifica di alcuni servizi vengono analizzati attraverso la lente familiare-relazionale. Considerando che le good practice sono quelle pratiche che massimizzano gli obiettivi di efficacia dei servizi pubblici, di presa di coscienza del problema per migliorare il processo decisionale di singoli individui e di coloro che ideano e propongono politiche, quattro risultano gli aspetti fondanti di queste pratiche. Efficienza: più partecipazione delle famiglie come nuovi interlocutori e non solo come beneficiari, ma anche diversificazione e sana competizione dei soggetti erogatori di servizi (non più un diritto garantito dallo stato, ma incentivo dell’azienda a creare maggior vantaggio competitivo in modo da attirare lavoratori più motivati); Family Focus; Rete sociale; Sussidiarietà orizzontale.

La diversità di tematiche, seppur analizzate tutte su territorio nazionale, si estende dall’analisi di Corporate Social Responsibility di aziende in settori tradizionali a servizi alla cura dell’anziano e delle famiglie in crisi, e facilita la comprensione di un quadro teorico denso e articolato, offrendo spunti interessanti di riflessione a coloro che praticano già materia di welfare e benessere e ai curiosi delle materie.

 

di Francesca Lipari

Phd Università di Tor Vergata (Roma)

Research Fellow University of Pennsylvania