Maker, inventori, designer e disabili: insieme
Quando Carlo Boccazzi Varotto ha risposto al nostro invito per questa intervista, abbiamo da subito capito che Hackability era davvero un progetto un po’ speciale, che meritava di essere condiviso.
Quando cominci a leggere di cosa si tratta, la prima parola che ti viene incontro è hackaton, un evento al quale partecipano, a vario titolo, esperti di diversi settori dell’informatica: sviluppatori di software, programmatori e grafici web e che ha una durata temporale abbastanza variabile. Ma forse, questo, non ci dice ancora molto su questo progetto. Per questo viene spontaneo chiedersi che cosa sia davvero Hackability.
È una metodologia applicata per la prima volta a Torino nel 2015. L’obiettivo era sperimentare in un format scalabile e riproducibile, un ambiente di coprogettazione nel quale maker, designer e persone con disabilità potessero arrivare tramite l’uso di macchine di prototipizzazione, stampanti 3D, schede open source, alla realizzazione di presidi e oggetti a basso costo per supportare le persone con disabilità nella vita quotidiana.
Un metodo che si basa sulla valorizzazione delle competenze delle persone con disabilità e sulla contemporanea costruzione, moderazione e animazione di team di lavoro finalizzati a individuare, proporre e realizzare soluzioni condivise.
Ma cosa fanno, nello specifico, le persone con disabilità in Hackability? Sono potenzialmente designer e hacker, cioè persone capaci di immaginare oggetti e di piegare quelli esistenti alle proprie esigenze.
FMV ha chiesto a Carlo Boccazzi Varotto, ideatore di questa metodologia insieme a Enrico Bassi, di raccontare l’esperienza di Hackability. Di seguito riportiamo l’intervista.
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FMV: Come nasce l’idea di Hackability?
CBV: L’idea alla base di Hackability nasce dopo una ricerca che coordinai nel 2011 per conto della CNA torinese intervistando più di 90 persone con disabilità sulle esigenze innovative nel campo del design e della domotica. Dalla ricerca emerse come vi fosse, da parte delle persone con disabilità, una forte richiesta di presidi, telecomandi, oggetti d’uso quotidiano adattati alle loro necessità e come, spesso, la risposta a questa richiesta fosse la personalizzazione di oggetti comunemente in commercio o l’autocostruzione supportata da tecnici e da piccoli artigiani. Stava nascendo il Fablab Torino e parve evidente che questo bisogno potesse trovare una naturale risposta nella filosofia dei fablab.
FMV: Cosa sono i FabLab?
CBV: I Fablab sono laboratori di prototipizzazione leggera, generalmente forniti di stampanti 3D, macchine taglio laser e il necessario per lavorare con schede open source (Genuino e simili) dove semplici appassionati, i cosiddetti maker, ma anche professionisti, designer, studenti ecc… possono avviare una produzione di “artigianato digitale”, di device elettronici o oggetti in piccoli numeri e (come nel caso di hackability) fortemente personalizzati sull’utente.
FMV: Dal 2015 ad oggi quali sono state le tappe di Hackability?
CBV: Hackability è nata come una “community” cioè un gruppo di persone interessate al tema, tenuto assieme dalla volontà di condividere un metodo: partire da esigenze di persone con disabilità, co-progettare con loro l’attenzione ad aspetti estetici oltre che funzionali, liberare i risultati in open access in rete per metterli a disposizione di tutti quelli che ne hanno bisogno. Anche il “format” cioè le fasi di lavoro e la metodologia sono open source, chiunque può, sottoscrivendo il manifesto e dimostrando di poter realizzare un Hackability, lanciarne uno. Su questa base ne abbiamo realizzati quattro. Dopo la prima sperimentazione realizzata al Fablab Torino finanziata da Fondazione CRT, la metodologia è stata riproposta a Brescia dall’IPASVI all’inizio del 2016 con persone affette da artrite reumatoide ed è stata applicata nel febbraio 2016 all’ITIS Pininfarina di Moncalieri dove gli studenti, nell’ambito dell’alternanza scuola lavoro, con il Techlab di Chieri hanno realizzato cinque nuovi presidi per altrettanti ragazzi con disabilità. A maggio al Politecnico di Torino, gli studenti del primo anno iscritti al corso di “Tecnologie per la Disabilità”, usando la metodologia e il format, al posto del tradizionale esame hanno coprogettato oggetti insieme a maker, designer e persone con disabilità. Da luglio abbiamo deciso di gestire il tutto in modo più formale ed è nata un’Associazione Hackability per supportare tutti quelli che hanno voglia di realizzarne uno.
FMV: Cos’è successo a maggio di quest’anno al Politecnico di Torino?
Un grande riconoscimento. Gli studenti del primo anno iscritti al corso di “Tecnologie per la Disabilità”, tenuto da Paolo Prinetto coadiuvati da Ludovico Russo e Giuseppe Airò usando la metodologia e il format, al posto del tradizionale esame hanno coprogettato oggetti insieme a maker, designer e persone con disabilità. Hackability è stato riconosciuto come un format che può integrare la formazione universitaria. Questo ha permesso anche di attivare una rete internazionale. Infatti Hackability@polito è stato realizzato in collaborazione con la Fondazione Paideia di Torino; Lero-The Irish Software Research Centre di Limerick; Looqui, start up che si occupa di tecnologie per la disabilità e con il contributo del CINI Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica.
FMV: Qualche progetto fra i più interessanti che avete condiviso?
Lo sono tutti. Procedo per esempi: quelli che hanno realizzato qualcosa che non esiste, come la “Forchetta di Ivan”, una forchetta costumizzata con una scocca stampata in 3D che permette ad Ivan di mangiare gli spaghetti; quelli di cui siamo riusciti ad abbassare il costo come “Mando”, un telecomando a scansione che normalmente costa 1.500 euro e che oggi si può realizzare con un centinaio di euro; quelli che abbiamo migliorato, come Movitron, un carillon che permette ad un bimbo non vedente di imparare a camminare in linea retta. Era uno scatolone pieno di fili e oggi è una scatoletta portatile e costa un decimo; io sono particolarmente affezionato ad un oggetto realizzato dai ragazzi del Pininfarina che permette ad un loro compagno senza una mano di fare in sicurezza le flessioni e di prepararsi nell’ambito sportivo; e poi a quelli realizzati al Politecnico tutti pensati per bambini.
FMV: Con la condivisione, la tecnologia e l’attenzione al lavoro si può vincere la disabilità?
Può aiutare molto. Penso soprattutto al lavoro. Oggi possiamo, ad un costo contenuto, ripensare gli oggetti per il lavoro, rifare le console e renderle accessibili. Bisogna solo, ma non è poco, lavorarci seriamente e condurre una battaglia per la certificazione e il riconoscimento normativo delle soluzioni in open source.
FMV: Prossime tappe per il futuro?
L’obiettivo dichiarato di Hackability è fare in modo che si diffondano progetti e competenze sul tema e favorire così la nascita, anche in una dimensione di impresa, di artigiani digitali che lavorino per la disabilità proponendo e realizzando soluzioni personalizzate e a basso costo. A questo si aggiunge il tema della co-progettazione. Ci è stato chiesto di provare ad applicare la metodologia hackability per progettare, non solo oggetti, ma anche nuovi servizi o servizi più efficienti. Lo faremo di sicuro. Progettare con le persone partendo da bisogni reali. È un grande tema.